Tracce di Sentiero - Il blog prosegue qui ...

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Con nuovi racconti e nuove avventure...

martedì 29 gennaio 2008

La montagna è di tutti, ma non è per tutti.

La montagna è di tutti?

Questa domanda molto provocatoria trae spunto da un articolo uscito su “LA RIVISTA”bimestrale allegato allo “SCARPONE” mensile del CAI.

Sul Numero di GENNAIO FEBBRAIO 2008, il sindaco di Balme ha scritto un articolo intitolato “PIAN DELLA MUSSA, NATURALMENTE!”in cui giustifica la regolamentazione del parcheggio in tutte le aree comunali, per l’accesso al pian della Mussa, area fuori dall’abitato di Balme in provincia di Torino, in Piemonte.

In linea di principio sono contrario alla regolamentazione dei parcheggi in quanto lo ritengo un mero sfruttamento, al contrario di quanto viene sostenuto nell’articolo, perché fanno fare cassa al comune e non insegnano assolutamente alle persone ad andare in montagna, o a essere rispettosi della stessa lasciando rifiuti ovunque.

Se si desidera far pagare le persone occorre fornire determinati servizi, che in loco possono essere usufruiti.

Secondo il mio punto di vista, una buona regolamentazione, se appunto il problema non è quello di riempire le casse del comune è una buona salvaguardia e tutela ambientale, con una corretta sanzionatura a chi trasgredisce i regolamenti, per esempio per la raccolta di specie di flora protetta, abbandono rifiuti e quant’altro si ritiene di dover sanzionare; una cosa purtroppo è vera, le persone se non sono toccate nel portafoglio difficilmente capiscono e imparano la lezione, a volte non basta neppure quello, per cui forse per ottenere buoni risultati sarebbe auspicabile un controllo sul territorio senza dover per forza far pagare il parcheggio a tutti quelli che realmente vogliono vivere la montagna, oppure semplicemente godersi una semplice passeggiata.

La montagna è di tutti, ma non è per tutti.

Facciamo in modo che le persone rispettino e paghino i servizi offerti dalle organizzazioni, anche comunali se lo si ritiene, ma per salvaguardare i boschi e la natura, occorre fare prevenzione insegnando le regole di base per non distruggere la natura e per poter far in modo che chi vive la montagna possa continuare a farlo, senza ulteriori intralci.

Nessuna zona dovrebbe essere regolamentata al pagamento di un biglietto per potervi accedere, ne per vederla né per parcheggiare l’auto, o per lo meno non su tutto il territorio comunale.

Ci sono persone, proprio in relazione del fatto che pagano il biglietto per poter accedere, si sentono di aver acquistato anche il diritto di fare quello che vogliono, anche l’abbandono rifiuti.

Chi desidera andare in montagna, sia al pian della Mussa, o alle tre cime di Lavaredo, o in altri luoghi deve poterlo fare in tutta gratuità, pagando solo se desidera avere particolari servizi, chi non li usa non dovrebbe essere tenuto a pagare.

L’area montana non è paragonabile ad una città, ne tanto meno ad un museo, anche se potrebbe essere opinabile anche il parcheggio ed il biglietto anche in tali luoghi, per cui non dovrebbero essere a soggetto a pagamento il solo parcheggio.

Non vuole essere un articolo polemico, ma propositivo, per far si che davvero le persone, che frequentano certi luoghi imparino a vivere con la natura, cercando di capire che i loro danni impoveriscono l’ambiente, danneggiano chi su quel terreno ci deve trarre il sostentamento per la sua vita, in quanto montanaro, o semplicemente tutto quello che lascia lo ritrova la prossima volta, e crea un precedente per cui se altri trovassero una serie di rifiuti si sentirebbero giustificati ad abbandonarne altri.

Chi non vuole vivere con queste regole può starsene tranquillamente a casa.

sabato 26 gennaio 2008

Col del Nivolet - Strada di Servizio Dell'Enel

Col del Nivolet (2620 m)

Strada di servizio Enel.

La strada è delimitata al colle da una sbarra, per cui non é percorribile se non a piedi.

La strada percorre quasi in piano tutta la valle, fino quasi alla fine, poi termina contro il versante di una montagna. Quasi in vista della croce dell’Arolley, mancherebbe veramente poco per congiungere le due valli…

Nonostante la strada sia molto larga, il costone sinistro da cui è stata ricavata la strada è molto cedevole e spesso e volentieri scarica sulla stessa grossi blocchi di pietra che in parte ostruiscono i passaggio con mezzi meccanici.

Quasi in fondo se lo desiderate potete scendere per un minuscolo sentiero e ricongiungervi al sentiero che attraversa tutta la spianata del colle del Nivolet, per raggiungere la croce dell’Arolley a sinistra, ed eventualmente scender ein paese a Pont, oppure andando a destra ritornare al Col del Nivolet per una strada differente e molto interessante.

(parte di questi scritti possono essere presenti anche su www.ciao.it)

venerdì 25 gennaio 2008

TRAVERSATA DAL NIVOLE’ A CERESOLE REALE ATTRAVERSO I COLLI DELLA TERRA E DELLA PORTA - BIVACCO GIRAUDO

TRAVERSATA DAL NIVOLE’ A CERESOLE REALE ATTRAVERSO I COLLI DELLA TERRA m. 2911 E DELLA PORTA m. 3002

Interessante Segnalazione, salendo dal sentiero che parte sopra il Lago dell’Agnel, si incontrano ruderi utilizzati durante l’ultimo conflitto bellico, 2 casermette in pietra e cemento armato con il tetto in catrame, di cui una per cannoni, trincee e casematte.

Incisioni dei soldati con nomi e date del 1939.

Girino 4-5-6 Agosto 2006

Finalmente si ritorna in montagna…

Il giro questa volta è sopra Ceresole Reale Da Ciampili di sopra con il sentiero Videsott, si ricongiunge poi al sentiero che arriva dal lago dell’Agnel e prosegue verso la grande attraversata del colle della Terra e successivamente per il colle della Porta, per poi valicare e raggiungere il bivacco Giraudo e la successiva discesa verso l’abitato di Ceresole.

Bigio, Lucia, Fabio

Partenza da Chiampili di sopra. Alle 9.00 del mattino

Il freddo è molto inteso con vento forte, le vette intorno sono tutte spolverate di neve anche a relativa bassa quota. (2500 metri), considerando che siamo in Agosto…

Salito il primo tratto ripido (sentiero Videsott) che ci porta al Bivio con la strada reale che parte dai laghi del Nivolet, incontrata una simpatica pecora che prendeva il fresco alle casette disabitate lungo il sentiero.

Arrivo al bivio alle 12.00, 3 ore contro le eventuali 2 ore previste dalla segnaletica del sentiero, ma il carico sulla schiena oltre allo zaino da bivacco, ci sono 5 litri d’acqua a testa, per un complessivo di 12,5 litri per 3 giorni, visto che al bivacco Girando dove siamo diretti non sono previste fontane di acqua potabile, nelle vicinanze del bivacco c’è un laghetto pulito ma di acqua semiferma con le rane, e il ruscello generato dalle cascate che scendono dalla parete tra la Becca di Monciair e la verticalissima parete sud del Ciarfronha un’acqua decisamente sporca per la grande quantità di detriti che trascina verso valle, potrebbe essere che lasciandola decantare e filtrandola successivamente si possa produrre una cerca quantità d’acqua, che per sicurezza andrebbe comunque almeno bollita. Attacchiamo il sentiero che ci porta verso il Colle della terra, 2911 metri, il colle sembra davanti a noi, per raggiungerlo ci vogliono ancora 2 ore.

Quindi colle della terra raggiunto in 5 ore contro le 3 ore previste (va comunque considerato il nostro carico, i tempi gabellati sono corretti, siamo noi in forte ritardo, ma considerateli almeno in parte se il carico è superiore al piccolo zainetto per la giornata).

Lungo il sentiero che si inerpica con una pendenza abbastanza lieve, incontriamo l’omino simpatico che tempizza le distanze come se si viaggiasse in elicottero…, secondo cui dal Colle della Terra al colle della Porta c’è solo 30 minuti di cammino…(vedremo poi effettivamente la tempistica), e i signori usciti dalla macchina del tempo, come li ha definiti Fabio, un omino del ‘700 con lo zaino dell’800 e il suo amico imbacuccato ma con la giacca rossa molto tecnica, (non facciamo nomi di marche).

Tutti quelli che incontriamo al sapere che vorremmo arrivare al Bivacco Girando si stupiscono ed esclamano che è ancora lunga…

(cosa vorranno dire?)

Passo dopo passo raggiungiamo il colle della Terra, una landa desolata e ventosa che in pochi metri ti porta verso il versante opposto e la coreografica forma del lago Lillet si affaccia allo sguardo, 150 metri sotto… sigh…

Venti minuti di discesa mozzafiato ci porta sulle rive del lago.

A questo punto basterebbero 10 minuti per il Colle della Porta a 3002 metri?

Secondo voi?

Ma neanche per idea. Il colle della Porta si staglia all’orizzonte ad almeno 250 metri sopra la nostra quota attuale.

Pranzo frugale visto che sono quali le tre del pomeriggio, ci rimettiamo il cammino verso il colle della Porta, passando per quello che una volta era un enorme invaso ghiacciato, poi ceduto al nevaio e adesso un solo ammasso di pietroni e sfasciume.

Solo qualche chiazza di neve testimonia la remota esistenza di un ben più ampio invaso di acqua allo stato solido.

Il lago del Lillet dall’alto ha la forma della testa di un aquila… molto caratteristico, per quasi tutti i mesi dell’anno resta ghiacciato.

Il colle della Porta con il suo enorme ometto posto sulla sommità viene raggiunto 1,5 ore dopo il Colle della Terra.

Quindi complessivamente dalla partenza siamo a 6,5 ore per raggiungere il colle della Porta, con qualche breve sosta per bere.

Un puntino giallo in mezzo alla valle opposta ci lascia intravedere la nostra destinazione.

Inizia a nevicare! Scandiamo per quello che è un discreto sentiero che tra enormi pietre ci fa scendere dalla quota attuale 3002 metri verso i 2630 metri della scatola di latta 2X2 metri del Bivacco Girando.

Domanda… ma come fanno a stare stipate 6 persone in un bivacco di quelle dimensioni?

Lo scopriremo presto…e scopriremo che ce ne danno anche di più…

Quasi in fondo in prossimità di un piccolo laghetto anch’esso quasi sempre ghiacciato, il sentiero che scende verso valle si divide, e per una traccia tra la pietraia ci fa guadagnare il pianoro del bivacco dopo aver guadato l’acqua delle cascate, che non è assolutamente bevibile se non filtrata dai depositi di sabbia e terra che nella furia della discesa si sta trascinando dietro.

Un’altra ora e mezza abbondante per raggiungere il rifugio dal Colle della Porta.

Complessivamente 8 ore e 15 minuti per percorrere quello che con uno zaino leggero e scarpe non troppo pesanti si dovrebbe percorrere in 6 ore.

Ci prepariamo per la notte.

Il bivacco è veramente piccolo, ma con tutto quello che serve coperte cuscini candele, accendino, persino un paio di occhiali, pala per la neve e una scopa per fare le pulizie.

6 letti a scomparsa compongono le pareti e 2 panche fanno da contorno al tavolo centrale che anch’esso sparisce a parete in caso di necessità di spazio.

Mangiamo e ben presto ci corichiamo. Fa molto freddo fuori, dentro un leggero tepore, ma comunque occorre essere coperti, la temperatura è bassa anche dentro.

Il sonno arriva e prima di domani nessuno uscirà dalla fosforescente scatola di latta.

Il giorno seguente il tempo è pessimo e tra una mangiata e una dormita si arriva al pomeriggio.

Tantissimi Camosci, 3 aquile e qualche stambecco, conditi con qualche fischio di marmotta una manciata di capre, e qualche cane fanno da contorno allo scenario animalesco della zona.

Alle 18.00 stufi di stare dentro alla scatola decidiamo di scendere verso valle a fare una passeggiata e tentare di telefonare, visto che al bivacco non esiste segnale, ne Vodafone, ne Tim ne Wind; sotto le raffiche violente di neve ghiacciata… ma pochi metri sotto il bivacco adocchiamo 4 elementi che sotto una tormenta si stanno inerpicando verso il bivacco… sicuramente per fermarsi a dormire.

3+4=7!!!

Il rifugio sembra piccolo per 3, passi per 6… ma 7 dove li mettiamo?

All’esterno non ci sono anfratti naturali sotto cui passare la notte.

Arrivano bagnati come pulcini e molto, molto sprovveduti, senza cambio con il sacco a pelo legato all’esterno, bagnato naturalmente, con una scorta di cibo molto discutibile e soprattutto non hanno acqua se non mezzo litro in 4.

Unica nota positiva è una bottiglia di Barbera fermo.

Ceniamo allegramente, anche se una di loro sosteneva che la Becca di Monciair fosse per forza il Ciarfron!!! Diceva è inconfondibile! Tanto inconfondibile che non la era!

TERRORE!!! Alle 20,00 circa usciamo a prendere una boccata d’aria, visto che il tempo si era ristabilito ed il cielo era tornato sereno; due zaini con relativi portatori stanno velocemente risalendo il sentiero verso il bivacco…

3+4+2=9!!!!!!!!!

Peggio ancora. In 9 non ci si sta!

Fino all’ultimo ho sperato avessero un riparo sulle spalle… fortunatamente avevano una tenda.

Sono un ragazzo e una ragazza dall’aspetto molto giovane di Varese.

Una tazza di te tutti insieme e poi i due escursionisti notturni tornano nella loro spaziosissima tenda, e noi ci accingiamo ad addormentarci, io e la Lu proviamo senza successo a dormire in un unico lettino, ma i 50 cm di spazio non sono molto sufficienti per un buon riposo.

Anna e quello che presumibilmente è il suo moroso (non ricordo il nome) vorrebbero vedere le stelle, che nel frattempo si sono nascoste sotto una coltre di nuvole…

Piove.

Un fortissimo vento nella notte spazza viale nuvole e lascia spazio ad una spettacolare stellata.

Tra una serie di testate alla porta e una al letto che mi scortica la testa, passa anche questa notte.

Il giorno seguente, di buon ora scendiamo a valle. Alle 5.00 i nostri vicini con la tenda se no sono andati… veramente operativi i due figliuoli…

Partiamo alla volta di Ceresole, un forte vento ci accompagna fino al Colle del Sià.

Una discesa di infiniti tornanti ci porta fino al colle. Incrociamo il sentiero che conduce al Gran piano.

La discesa ci riserva ancora una sorpresa…

Arrivati a Ceresole in 4 ore, dobbiamo ancora recuperare la macchina, che dista ancora 7 Km… lasciamo Gli zaini dall’Amico Maurizio e speranzosi di un passaggio risaliamo verso Chiampili di Sopra.

La gente è peggio di quanto potessi sperare, passano infinite macchine, non si ferma nessuno, alcuni molto malignamente accelerano… una donna impietosita dalla nostra condizione di profughi con gli scarponi rigidi sull’alfalto si ferma e mi porta a recuperare la macchina. UNA SANTA!

Un pasto frugale al Rifugio Muzio, e poi la discesa verso casa.

PNGP- CERESOLE REALE -

TRAVERSATA DAL NIVOLE’ A CERESOLE REALE ATTRAVERSO I COLLI DELLA TERRA m. 2911 E DELLA PORTA m. 3002

E’ sicuramente l’itinerario di maggior prestigio dell’alta valle Orco. La strada reale di caccia, con il suo maestoso sviluppo, accompagna l’escursionista alla scoperta del versante meridionale del Gran Paradiso in tutti i suoi aspetti: dai pascoli ricchi di acque, alle morene, dai ghiacciai ai laghetti, dalla rossastre pareti rocciose ai dolci pendii ammantati di larici. Senza dimenticare, specie di buon mattino, gli incontri con la tipica fauna del Parco.
Dal lago Agnel si segue la carrozzabile del Nivolè fino al laghetto quota 2461, poco prima degli ultimi tornanti che portano al colle (cartello in legno con i tempi di percorrenza fino a Noasca). Si prende la comoda strada reale di caccia che, con lenta salita, costeggia un altro laghetto annidato fra le pietraie della Costa della Civetta e si affaccia sul solco principale della valle dell’Orco, dove la vista spazia libera dal lago di Ceresole alla catena spartiacque con la valle di Lanzo e le valli dell’Arc e dell’Isère. Si procede su di un’altra balconata panoramica, passando al di sopra del casotto del Bastalon, con percorso prima discendente poi ascendente, attraversando numerosi rii e cascatelle che scendono dai sovrastanti laghi di Comba. Oltrepassata l’alpe omonima (m.2549, a destra bivio per i Chiapili di Sopra per il sentiero Videsott), la mulattiera entra nel ghiaioso pianoro del rio della Percia, sovrastato dalla punta Fourà (m.3411) ed affacciato sul versante settentrionale delle Levanne. Attraversato il piano si riprende a salire diagonalmente per aggirare l’estrema propaggine della Mare Percia; con pendenza più accentuata si supera una pietraia piuttosto instabile, oltre la quale si compie un ampio semicerchio fino alla zona dei minuti detriti rossastri che caretterizzano il colle della Terra (m.2911, ore 2,30). Si prosegue in piano a sinistra sopra un vertiginoso canalone che precipita verso Ceresole (bella vista sul lago) per affacciarsi alla conca del lago Lillet (m.2765), incassato ai piedi della rocciosa parete della Mare Percia (m.3385). Il lago è spesso ghiacciato anche nel pieno della stagione estiva e si raggiunge rapidamente seguendo la mulattiera a tratti franata (15 minuti dal colle). Valicato l’emissario che precipita fragorosamente, si riprende a salire su di un comodo dosso, fra vegetazione sempre più stentata e grossi massi granitici, lasciando a destra il sentiero che scende alla borgata Mua. Si piega progressivamente a sinistra per raggiungere il filo della morena del ghiaccio della Porta che si segue fino a che si perde sui dolci pendii nevosi del colle della Porta (m.3002), sul quale precipita la rossastra parete cresta sud della Testa del Grant Entret (45 minuti dal lago; 3,30 ore in totale). L’ampia insellatura del colle immette nel solitario vallone compreso fra le dirupate pareti dei Denti del Broglio (m.3454) e La Cuccagna (m.3175). Si scende con alcuni tornanti fra salti di roccia e terrazze granitiche chiazzate del blu cupo di frequenti stazioni di genzianelle, per piegare poi a destra, dove la mulattiera si abbassa con un lungo mezza costa fino ad un pianetto ricco di acque in vista della parete sud del Ciarforon (m.3642). Quando l’innevamento è abbondante conviene trascurare la mulattiera e scendere direttamente con lunghe e divertenti scivolate. Volendo raggiungere il bivacco Giraudo (m.2630), occorre piegare a sinistra per pietraie e magri pascoli fino al torrente che scende dal ghiaccio del Broglio con una spettacolare cascata. Guadato il corso d’acqua, si aggira a sinistra un caotico ammasso di grossi blocchi rocciosi, raggiungendo il lago Piatta vicino al quale sorge il bivacco. Il percorso non è segnato ed è difficile da seguire in caso di nebbia. Per raggiungere invece direttamente l’alpe del Broglio, si volge a destra e si percorrono le lunghe risvolte che lentamente scendono sul verde pianoro sottostante, mentre lo sguardo spazia sulla bassa valle dell’Orco e, nelle giornate limpide, sulla pianura canavesana oltre cima Mares. Giunti al pian del Broglio, si costeggia il laghetto omonimo che dopo il lungo cammino percorso invita ad una sosta ristoratrice. Guadato il torrente, si tocca l’alpe del Broglio (m.2387) dove s’incrocia il sentiero per il bivacco Giraudo (ore 1,30 dal colle della Porta; ore 5 in totale). Si riprende la discesa seguendo monumentali ometti, si lascia a sinistra la deviazione per il Gran Piano e, costeggiando rocce montonate, si entra nell’incassato pian del Broglietto (m.2250), percorso dalle sinuose anse del torrente Roc. Si percorre la testata del vallone lungo il sentiero che prima si abbassa alle baite dei Loserai di Sotto (m.2210), quindi risale lentamente ai Loserai di Sopra e al Col Sià (m.2274) (ore 1,30 dall’alpe del Borglio; ore 6,30 in totale). Su mulattiera ben segnata si divalla, passando per le alpi Ciaplus, Ramà, Pra del Crès e Cà Bianca (m.1942) da cui, con un ultimo tratto nell’ombroso lariceto, si giunge alla borgata Moise (ore 1,30 dal col Sià; ore 8 in totale).

(parte di questi scritti possono essere presenti anche su www.ciao.it)

giovedì 24 gennaio 2008

Gli spiriti Dell'aria (Kurt Diemberger)

KURT DIEMBERGER:

Cominciamo a presentare l’autore:

Kurt Diemberger è nato a Salisburgo in Austria nel 1932, ma da molti anni risiede a Calderino di Monte S. Pietro (Bologna).

Alcuni cenni storici importanti per inquadrare il personaggio:

Unico alpinista vivente ad avere 2 Prime sugli ottomila.

L’altro alpinista che potrebbe vantare questo primato è il mitico Hermann Buhl, scomparso sul Chogolisa nel 1957, proprio con Diemberger, durante il tentativo della vetta dopo aver raggiunto la vetta in prima assoluta del suo secondo 8000 il Broad Peak (8047 m.) insieme a Diemberger e Wintersteller and Schmuck, oltre al Nanga Parbat (8125 m.) raggiunto in solitaria nel 1953, persino contro il volere del suo capo spedizione Karl Herrligkoffer.

Diemberger poi raggiunse la vetta del Dhaulagiri (8167 m.) in prima assoluta senza ossigeno nel 1960 con lo sherpa

Nawang Dorjee, Nima Dorjee e Diener, Forrer, Schelbert, Il 23 maggio fu la volta di Weber e Vaucher.

Complessivamente ha raggiunto 5 vette oltre gli ottomila :Broad Peak, Dhaulagiri, Everest, K2, Makalu, durante il periodo della corsa ai 14 ottomila, poi però non essendo interessato alla gara, si dedicò ad altre attività.

Personaggio di elevata sensibilità particolarmente legato al K2, montagna che lo ha stregato dal primo momento che la vide, Montagna che nel 1986 gli portò via la sua compagna di salite l’inglese Julie Tullis, insieme ad altri 4 alpinisti che si trovavano oltre quota 8000 e una bufera di neve li bloccò e morirono disidratati e per edema cerebrale.

Lo stesso Diemberger riportò gravi conseguenze per il congelamento delle mani e piedi, perse un dito della mano.

È stato uno dei primi a portare in Imalaya lo “stile alpino Occidentale” (inventato da Buhl) e le salite senza ossigeno, stile che consiste nel portare sulle proprie spalle tutto il materiale necessario per allestire i campi avanzati sulla montagna da scalare senza l’uso di portatori e l’installazione di corde fisse preventive.

Per una coincidenza sfortunata, anni fa ho perso un’occasione di conoscere Kurt, era venuto vicino al mio paese a tenere una conferenza e la proiezione di alcune delle sue memorabili diapositive e a raccontare qualche suo pezzo di vita montana e non…

Unico alpinista straniero che possa vantare di essere stato insignito del titolo di “socio onorario del CAI ” (Club Alpino Italiano).

Ha scritto molti libri, nei quali racconta le sue esperienze, la tragedia del 1986 sul K2, dedicandogli un libro intero, “K2 il nodo infinito”.

Ha scritto anche

- “Gli spiriti dell’aria” edito dalla Vivalda editore.

- “Tra zero e ottomila” Mondatori editore

- “K2 il nodo infinito - Sogno e destino” che ha vinto il premio Itas per la letteratura di montagna.



Cineasta d’alta quota, conosciuto a livello internazionale, ha girato parecchi film e documentari sulle montagne più alte e selvagge del mondo, ed essendo anche un ottimo alpinista riusciva a seguire le cordate fino alla vetta con la telecamera (che all’epoca in cui ha iniziato non erano poi così leggere).

Nel 1978 è salito sull’Everest, realizzando il primo film con sonoro sincrono dalla vetta. All’Everest è tornato poi per realizzare il film “A due passi dalla cima” sul tentativo all’inviolata parete Est, per il quale gli è stato assegnato un “Emmy”, il prestigioso premio americano.



Ripetutamente è tornato al K2, dove ha realizzato quattro film.

Anche qui nel 1989 ha vinto la Genziana d’Oro al Filmfestival di Trento con il film “K2 – sogno e destino”.

Cosa si può ancora dire di un personaggio straordinario, che in passato e ancora oggi a volte sfida tutti e va a cercare cristalli sulle pendici del Monte Bianco, Un personaggio grande, grandissimo, proprio per aver vissuto abbastanza nell’ombra, senza tanti clamori, cercando soprattutto la pace interiore, necessarie per le sue scalate, e per riuscire ad essere quello che è.

Veniamo adesso al suo libro Gli spiriti dell’aria.

Di cosa tratta il libro…

Questa è la presentazione della casa editrice:

Lo spirito libero e nomade di Kurt Diemberger nella sua ricerca: dalle vette Himalayane alla stupefacente profondità del Grand Canyon.


Questo libro è il caleidoscopio della vita di un nomade tra zero e ottomila metri, è il raffinato diario di viaggio di un alpinista anomalo e straordinariamente creativo. "Solo gli spiriti dell’aria sanno che cosa troverò dietro le montagne..." dice un proverbio groenlandese, e da sempre Kurt Diemberger segue le voci degli spiriti per scoprire i segreti nascosti nei paesaggi della Terra. È una ricerca inesauribile che si rinnova in forme sempre diverse: nel vuoto immenso del Grand Canyon, nei misteri della foresta amazzonica, nei bianchi deserti groenlandesi, nell’assurda tragedia del K2, oppure nello sguardo attonito di Nawang Tenzing sulla cima del Makalu e nell’ondeggiare delle luci di Los Angeles che sembrano gioielli della notte. La scoperta di questi segreti si potrebbe chiamare avventura, ma è qualcosa che scende nel profondo: a questa ricerca Diemberger ha dedicato la sua vita.

Il libro è una serie di racconti, storia vissuta, delle sue avventure nelle più disparate località del mondo, dal freddo intenso delle montagne Imalayane alla soffocante calura dell’africa a fotografare animali per la trasmissione “Il tappeto Volante”, alle sue avventure più tranquille con le due figlie e la moglie alle pendici dello Stromboli.

E narrando questo passa attraverso l’incontro/scontro con Reinold Messner all’epoca della corsa ai 14 ottomila a Katmandu…

Le sue avventure francesi sul Montserrat arrampicando sulle enormi statue di pietra, che lui definisce “pupazzi”…

I suoi viaggi in Groenlandia, dove la neve e il bianco donano un apsetto particolare al suo racconto…

La spedizione sull’Indu Kush per scalare per la prima volta il Tirich Mir…Due uomini e diciannove campi, un’impresa epica…

La sua passione per i cristalli del Monte Bianco… la sua Seconda casa, come ama definirla, dove si reca o si recava abitualmente a raccoglierli, anche se è severamente vietato dalla legge…

Le avventure Nel Gran Canyon la montagna all’ingiù…

l’Island Peak la montagna salita con la figlia Hildegard antropologa proprio nelle regioni Imalayane, pochi mesi dopo la tragedia del 1986 sul K2, il congelamento di mani e piedi e l’amputazione di un dito della mano…e la perdita della sua compagna di scalate e di riprese cinematografiche l’inglese Julie Tullis, nonché altri 4 alpinisti.



È un libro da leggere tutto in un fiato, che lascia spazio ai sentimenti provati, più che al record o alla prodezza alpinistica (e anche su quello c’è da fargli tanto di cappello…), Kurt è una persona buona e generosa, che non si vanta di nulla, proprio per questo provo un forte senso di riconoscenza per quello che sa dare nei suoi libri e detto da persone che hanno avuto l’occasione di conoscerlo dal vivo (io l’ho mancato per un soffio…) sa infondere con i suoi racconti.

Consiglio… se vi capitasse di leggere un suo Libro non lasciatevi scappare l’occasione. Credo che ne resterete soddisfatti.

mercoledì 23 gennaio 2008

Il grande Nord - storia d'amore tra l'uomo e la natura

Il grande Nord

Un film di Nicolas Vanier

Una storia d’amore tra l’uomo e la natura.

53 film festival di Trento Premio del pubblico

Dividiamo la trama del film dalle considerazioni personali nate da questa visione…

Il film narra la storia di un cacciatore, Norman Winther, vero cacciatore, nel film lo stesso Norman interpreta se stesso, uno degli ultimi cacciatori che vive nel grande nord, in Canada, vive a stretto contatto con la natura, immensa, prodigiosa, lo fa da 50 anni, ma il progresso ed il disboscamento stanno creando grossi problemi agli animali e ai cacciatori, gli animali scappano dalle zone che hanno abitato per millenni e i cacciatori a lungo andare sono costretti ad abbandonare il lavoro nella natura per trasferirsi in città e trovare una nuova occupazione che gli permetta di campare.

Il problema c’è ed è reale.

Norman con la moglie Nebaska, un’indiana Nahanni vive in una baita di legno con i suoi sette cani, e periodicamente è costretto a cambiare valle, per la necessità di cacciare, soprattutto d’inverno quando le condizioni climatiche e meteorologiche sono nettamente proibitive.

Ma anche l’inverno hai suoi lati positivi, quando ti trovi a ad una temperatura di -40/-50 gradi centigradi anche la superficie dei laghi diventa percorribile con le slitte trainate dai cani e le piste per raggiungere la città o le valli cirocostanti per cacciare risultano più ditte e più veloci, facendo attenzione che il ghiaccio non sia troppo sottile…

Una vita scandita dal tempo e dalle stagioni, come forse dovrebbe essere la vera vita.

Norman porta alla luce un paradosso, la natura, gli animali stanno scomparendo per la mancanza di cacciatori.

Il paradosso si spiega con la mancanza di equilibrio tra le specie, i cacciatori come Norman, cacciano solo per l’indispensabile, solo per quello che gli serve per vivere, e nulla di più.

Per cui effettua una selezione naturale tra le specie, senza la quale presto una specie prevarrebbe sulle altre facendole estinguere.

La vita nei boschi è dura, tutto va conquistato giorno per giorno, ma impagabile la fusione con l’ambiente circostante, l’armonia tra uomo e natura, fusi in una cosa sola, insieme a tutto il resto, senza confini, se non quelli naturali, terre selvagge in cui vivere e non per essere sfruttate indiscriminatamente.

La nostra caotica civiltà, la volontà, più o meno repressa di vivere stipati in città sempre più nevrotiche e piene di contraddizioni, la continua ricerca della comodità che a lungo andare rimbecillisce gli individui e li rende incapaci di muoversi liberi e gli fa perdere il senso della realtà.

Proprio ieri per caso o per destino con Lu si stava parlando di questo, prima di vedere il film, che per altro non ricordavo nemmeno di avere, il problema sta proprio in questo, nel fatto di voler a tutti i costi avere il controllo sul mondo, il nostro mondo, inteso come possesso, ma il mondo ci sta dimostrando che non è nostro, al limite siamo noi che siamo suoi, il continuo sfruttamento delle risorse naturali, non fanno altro che portarci sul baratro della rovina, spero che la civiltà umana si renda conto nella sua totalità che la terra e la natura non sono fatte per essere sfruttate, ma per essere vissute, prendendo solo quello che serve per vivere, vivremmo molto meglio e le condizioni generali non sarebbero stravolte.

Parole al vento, forse…

La civiltà moderna male si colloca in questo mio ragionamento, difficilmente rinuncerebbe allo sfruttamento per la salvaguardia delle aree verdi, sia alle grandi distese di foreste su al nord o semplicemente quello che sta vicino a casa nostra.

Prevale Il “tutto e subito”, senza fare fatica…

Qualche tempo fa mi sono sentito dare quasi del pazzo, perché mi ostino a riscaldare la casa con la legna che raccolgo personalmente nei boschi, certo costa fatica, secondo un certo ragionamento sarebbe molto più comodo aprire il rubinetto del gas e accendere la caldaia, ma volete mettere il gusto e la gioia di essere nel bosco?

Impagabile…

Prendere solo quello che ti serve per le scorte dell’inverno…

COMODITÀ la parola chiave della società moderna…

Nessuno vuole più fare fatica, di questo passo dove andremo a finire?

Le città sono costruite a misura della razza umana, leggi atte a salvaguardare la vita umana, animali assoggettati all’uomo, senza il quale non sono nulla.

Forse non è corretto tutto questo.

Pensate a quanto è distante la vita caotica e frenetica delle città da quella che si vive fuori, nei grandi spazi, dove tutto si ridimensiona e prende una connotazione più naturale e tranquilla.

Dove non sono così esasperate l’esigenza di far prevalere sull’altro il proprio spazio vitale.

Prendi quello di cui hai bisogno, la natura non si esaurisce in questo modo.

Certo molti di voi non saranno d’accordo su queste affermazioni, ma vi chiedo solamente di pensare a queste parole, rifletteteci e poi traete le vostre considerazioni.

Non voglio che siate per forza della stessa opinione, ma vorrei solo che poneste l’attenzione a quello che realmente è importante, al di là di discorsi retorici.

La natura è nettamente più forte, senza ombra di dubbio, lo dimostrano tutti gli eventi naturali che in questi ultimi anni si stanno verificando; eventi catastrofici a volte imprevedibili e sconvolgenti causati da una speculazione indiscriminata della natura che poi reagisce agli scompensi.

Non so se l’uomo con la sua infinita avidità può essere la causa dell’aumento della frequenza e la forza di questi eventi naturali, che sia stato in grado di prendere indiscriminatamente alla terra, la quale poi non per ripicca, ma per effetto dello scompenso si trova ad avere queste manifestazioni catastrofiche soprattutto nei grandi centri urbani, che si sentono colpiti in modo particolare per la grande densità di popolazione in un minimo spazio.

Forse la razza umana non è così potente come crediamo, forse la natura fa il suo corso comunque, e la nostra irresponsabilità influisce solo in minima parte agli eventi naturali, nonostante tutti i nostri sforzi per depredarla, fatto sta che comunque e dovunque quelli che ci rimettono siamo sempre e solo noi.

La natura è sempre e comunque nettamente ed immensamente più forte.

E se cercassimo di vivere in armonia con lei?

Non pensate che le cose forse potrebbero essere diverse?

Quanto meno saremmo più preparati.

LuBi

lunedì 21 gennaio 2008

Alpi Marittime - Argentera - Bivacco Baus – visto sotto una luce diversa…

Alpi Marittime - Argentera - Bivacco Baus – visto sotto una luce diversa…

Tratto da “La montagna oltre lo sguardo”, appunti di viaggio.

La salita verso il bivacco Baus, vista sotto un'altra luce.

Credo sia Settembre.

Si è l'8 settembre 2001.

Le nozioni topografiche e logistiche ve le ho già elencate in precedenza, volevo parlarvi delle sensazioni provate, al di la della salita vista solo dal punto di vista prestazionale.

Quando mi alzo sono circa le 5.00, una strana aria calda, avvolge la mia cucina, lo zaino e gli scarponi sono li pronti vicino alla porta, il resto del bagaglio lo porto dentro di me, ed è un bagaglio molto greve.

Il magone dell'ignoto, del so più o meno dove vado, ma non so cosa posso trovare… un senso di vuoto allo stomaco mi pervade, dovrei fare colazione, perché poi per tutto il giorno non si vedrà cibo, ma non salto dalla gioia, è una mattina rovescia…

Pilucco qualcosa, prendo lo zaino, carico gli scarponi e si parte.

Il senso di vuoto si sta trasformando in qualcosa di bello, una dolce sensazione di scoperta, di qualcosa di nuovo, il contatto con la nuda roccia, mai toccata, mi affascina e mi coinvolge, ormai sono in ballo e tanto vale ballare bene.

Vado all'appuntamento in un luogo non ben precisato, registrato in qualche piega del mio cervello, siamo in tre.

Prendiamo una macchina sola ovviamente, la strada è lunga e il solo panorama ci mette di buon umore, la giornata è semplicemente splendida.

Due vecchi amici di Grotta, uno è Stefanone, l'uomo del K2 mancato…, l'altro è Michelangelo, non lo scultore, anche se nei capelli forse gli assomiglia… un ragazzone, tutto d'un pezzo, alto 15-20 cm più di me, e vista la mia esile statura, rientra quasi nella categoria di persone medio alte.

In tarda mattinata arriviamo a destinazione, ad Entracque, sotto la possente bastionata della diga, spaventosamente gigantesca, risaliamo la stretta strada che ci porta alla seconda diga, lasciamo la macchina e iniziamo il lento salire verso la nostra meta, che si intravede tra la foschia dell'altitudine, il bivacco si trova a 2900 metri circa, siamo si e no a 2000 metri, 900 metri di salita ci attendono, nonostante l'altezza però il caldo si fa sentire, il sole ci sta cocendo a fuoco non troppo lento, avremmo bisogno d'acqua, ma la prima fonte è il rifugio Genova sul pianoro che incontreremo tra poco, un rifugio splendidamente incastonato a lato della diga, una volta servito anche da una comoda strada panoramica che saliva dal parcheggio dove abbiamo lasciato la macchina fino lassù, per i soccorsi e per rifornire il rifugio di tutti i generi di conforto, ma fondamentalmente era la strada utilizzata dai tecnici dell'enel per la manutenzione della diga, nei periodi estivi, per quelli invernali, esistono comodissime gallerie scavate nella montagna, che permettono ai tecnici di risalire fino alla diga anche in periodi invernali e primaverili, dove la neve è ancora presente in grande quantità.

La strada fino ad ora ci ha riservato solo un pochino di sete, adesso si inizia a salire sul serio, il largo sentiero è diventato un viottolo, stretto, che ci passano solo gli scarponi, da un lato la roccia, dall'altro il vuoto della scarpate che piomba a picco sulla diga, semi vuota, dopo un salto di circa 200 metri.

Si sale molto lentamente, gli zaini sono stracarichi di materiale, domattina vorremmo salire sulla cima Sud dell'Argentera.

Verso metà percorso c'è il passaggio cruciale, supportati da una catena, c'è un passaggio nel vuoto completo, 350 metri di volo almeno, e lo zaino è tremendamente sbilanciato, ti tira il corpo verso l'abisso, ci arpioniamo alla catena e lentamente guadagnamo la cengia al di là del salto.

Una stretta ed esile cengia di una ventina di centimetri, sospesa sul vuoto della diga, una breve pausa, qualche foto giusto per riprendere fiato, poi l'occhio ed il pensiero vanno a vedere cosa ci aspetta dopo…. Un ripidissimo sentiero parte dalla cengia e quasi in verticale si inerpica sul fianco della montagna per poi girare a destra, ma il problema non è salire, sarà poi scendere, visto il poco spazio per l'atterraggio sulla cengia prima del salto…. Dovremmo scendere con estrema cautela, per riuscire a fermarci sulla cengia, nonostante il peso dello zaino che verrà solo privato del peso della roba da mangiare, e a giudicare da tutto sarà veramente esiguo il peso da togliere.

Riprendiamo la salita, lo zaino sembra sempre più pesante, e una non tanto lieve brezza si è levata, non siamo più protetti dal costone roccioso, e stiamo risalendo su una instabile pietraia che tra grossi blocchi ci fa guadagnare qualche metro con notevole difficoltà.

Sono ore che stiamo camminando, il sole sta già sparendo, e tra poco sarà buio, il bivacco è ancora alto sopra le nostre teste, sembra avvicinarsi piano piano, ma resta comunque sempre lontano.

Iniziamo ad intravedere i primi animali, che a queste quote sono a casa loro, gli intrusi siamo noi, decine di stambecchi ci incrociano, spavaldi con il loro palco di corna, quasi socievoli, è difficile farli spostare, restano in attesa del nostro arrivo, poi a pochi metri, si spostano quel tanto da farci passare, per nulla intimoriti, anzi, per la troppa vicinanza siamo noi ad essere quasi intimoriti.

Il buio cala, siamo quasi vicini al bivacco, ma quel quasi è e resta per lungo tempo quasi…

Sempre circondati dagli stambecchi, ormai non ci facciamo quasi più caso, a meno di vederle apparire uno nell'oscurità che non avevi notato prima.

Vorremo arrivare, togliere il pesante zaino e poter riposare dopo la estenuante salita, le mie ginocchia e caviglie ringrazierebbero sentitamente.

Finalmente aggirando lo sperone su cui si trova ancorato il bivacco, arriviamo davanti alla porta e con notevole sorpresa scopriamo di non essere soli.

È bello vedere che ci sono ancora persone che vagano per le montagne,oltre a noi.

L'aria è fredda, nonostante noi non la sentiamo essendo ancora caldi per la salita, ma per evitare sorprese dopo, meglio provvedere ad un adeguato strato termico protettivo.

Sono le 22.00 circa, mangiamo qualcosa rincuorati dal fioco fiammeggiare di una piccola candela appoggiata al bordo del tavolo.

L'ambiente piccolo circa 2 metri quadri, eppure ci si dovrebbe stare comodamente in 9… molto comodamente, non ci sono stufe o altre fonti di riscaldamento, solo 2 piccole finestre fanno entrare l'eventuale luce, se lasciate aperte, altrimenti è una classica scatola di sardine, con più o meno sardine dentro (a seconda del numero di partecipanti al piacevole bivacco).

Il personaggio in questione che abbiamo incontrato è strano, molto strano viaggia da solo e parla di esperienze da evitare, soprattutto se sei da solo.

Viaggia senza niente, dorme utilizzando le coperte del bivacco, viaggia leggero, non ha piccozza, e vorrebbe salire al Gelas e attraversarlo totalmente per poi sconfinare in Francia, un tipo alquanto taciturno e del tutto poco socievole, ma la convivenza è comunque sufficiente a passare una discreta serata.

Verso mezzanotte usciamo al gelo, l'aria si è raffreddata parecchio, considerando anche che tra poco tempo qui sarà totalmente inagibile per parecchi mesi, il bivacco nonostante sia circa 2 metri, durante i mesi invernali, sparisce sotto la coltre bianca, e quindi resta praticamente inutilizzato per tutto il periodo della neve, a meno di portare una pala e aprirsi un varco per entrare, ma se la coltre bianca arriva come dicono a 5 metri, il giochino di scavo non è dei meno riposanti.

Fa freddo, ma lo spettacolo proposto dalla immensa vallata immersa nel buio, con le sole luci in lontananza, assume una caratteristica unica, abbassando lo sguardo le fioche luci del perimetro della diga ne delineano i contorni, il cielo è di un colore scuro, essendo buio, ma con strane striature, un enorme ometto di circa 2 metri si erge alla base del salto, punto di riferimento per chi sale dal basso, per identificare la posizione del bivacco da qualunque posizione, anche se la cupola rossa non fosse visibile, perché coperta dallo sperone di roccia.

Siamo stanchi, è era di prendere sonno fino a domani mattina. Che si presenta come una giornata campale.

La notte passa velocemente, le comode brandine appese al soffitto ti lasciano riposare, i russii dei componenti dell’allegra combriccola un pochino meno…

Il freddo è intenso anche dentro la scatola di sardine, ma il mattino arriva puntuale, è appena l’alba quando il nostro coinquilino solitario si prepara e parte verso la sua ignota destinazione, speriamo che gli vada tutto bene, mi lascia un pochino di angoscia la sua precaria situazione, ma l’ha scelta volontariamente lui…

Cordialmente ci saluta e sparisce dalla parte opposta da cui ci ha detto di essere salito.

Mi alzo anche io, è troppo bello per poltrire nel sacco a pelo…

La giornata si presenta radiosa, neanche una nuvola all’orizzonte, ci prepariamo per la salita alla sud dell’Argentera, ma dopo pochi passi intorno al bivacco, mi accorgo che il mio ginocchio sopporterebbe poco la sfacchinata della salita sulla cengia esposta della balconata sud, pertanto decido ancor prima che i miei compagni sollevino la testa dal sacco a pelo, che li lascerò andare soli, gli sarei solo d’impiccio, mi concederò un lungo giro intorno al bivacco e mi rilasserò a fare foto ai fumosi animaletti che popolano questa landa apparentemente desolata, ma invece pullulante di vita.

I due orsi si alzano, e ancora sonnecchianti escono dalla scatola di sardine per l’occasione dipinta di rosso…

Facciamo un’abbondante colazione, poi loro, a malincuore mi lasciano al bivacco e spariscono dietro al risalto dell’altipiano su cui si trova lo sperone del bivacco.

Con il mio potente 600 della macchina fotografica, cercherò di seguirne le tracce sulla parete, ma ben presto mi rendo conto che sarà difficile per non dire impossibile, le figure variopinte sulla parete si muovono numerose, e in lontananza sembrano tutte uguali, con giacca a vento rossa… colore molto inusuale per le giacche a vento da montagna, 5 persone su 10 ne posseggono almeno una…

Il sole è caldissimo, mi tolgo gli strati termici in esubero e inizio la mia caccia fotografica, ben presto nel mio obbiettivo appare un camoscio, che senza aver rilevato la mia presenza sta tranquillamente risalendo le roccette, verso il bivacco, ma appena si accorge della mia presenza scappa via con una velocità impressionante, ma resta impresso in un paio di scatti., poi è la volta degli ermellini, che qui la fanno veramente da padroni, il problema che si muovono talmente veloci che resta un miracolo riuscire a fermarne uno sulla pellicola,, con la loro livrea estiva marrone bianca sfrecciano da una pietra all’altra, passando per lo spazio in mezzo alla velocità del fulmine.

Adotto lo scatto al volo, qualche foto riesce, altre resta solo una scia con le zampette che corre…

Le ore passano, il sole è sempre più cocente, decido di muovermi un pochino, risalgo il risalto e mi perdo nelle piccole vallette, circostanti, tenendo sempre d’occhio il piccolo barattolo rosso adibito come bivacco.

Dopo un po’ torno sui miei passi, e trovo uno stambecco nel frattempo che si è insediato all’interno del bivacco e non ha intenzione di uscire, ho lasciato la porta aperta perchè il locale all’interno prendesse un pochino di aria fresca e l’ambiente stantio per i tanti mesi chiuso si rinfrescasse.

Finalmente riesco a far uscire il curioso essere cornuto, che con i suoi strani occhi sembra voglia mangiare qualunque cosa penzoli vicino alla sua bocca…

Gli stambecchi visti da vicino hanno gli occhi strani, sembrano quasi pieni con una strisciolina al centro, una specie di fessura tipo i gatti, ma meno intensa, strana…

Inizio le pulizie del bivacco, visto che il tempo non mi manca e non è ancora ora di pranzo.

Ogni tanto guardo con la macchina fotografica la vetta dell’Argentera, ora pullulante di puntini che si agitano come moscerini vicino alla marmellata, ma dei mie compagni non riesco a identificarne neanche uno.

La storia del Francese che voleva da mangiare, ma voleva poter scegliere, ve la risparmio…

Nel frattempo arrivano 2 sposini, lei molto carina, si mettono a mangiare poco distante dal bivacco, e poi proseguono la loro salita verso il colle a sinistra dell’Argentera.

Nel pomeriggio però verso le 15,00 una veloce nuvola scura arriva all’orizzonte e nel giro di un’ora ha quasi coperto tutto il cielo.

Sembra di stare in un condominio, e il cielo plumbeo sia il soffitto, che si abbassa sempre di più stringendoti in una morsa tra la terra e il cielo.

Dei due arrampicatori nessuna notizia, nè alcun riconoscimento sulla parete, dopo aver salutato i nuovi visitatori che nel frattempo si erano trascinati fino lassù per una via diversa dalla nostra, inizio la discesa, essendo da solo e comunque molto lento dovuto al problema al ginocchio e alla mia precaria stabilità sulle roccette della pietraia,

Lo zaino come un macigno mi schiaccia e la discesa è massacrante, adotto un bastone per sorreggermi durante il passaggio tra un pietrone e l’altro, ma la situazione resta comunque notevolmente instabile.

Poco dopo di me erano partiti anche 4 componenti del CAI di Genova, che ben presto mi raggiungo e mi superano in scioltezza, distanziandomi notevolmente, cerco invano di tenere il loro passo, ma in discesa, è impossibile, tenendosi un certo margine di sicurezza, e qui né occorrerebbe anche un pochino di più un errore nel punto sbagliato e non ci sono rimedi…

Arrivo al passaggio sulla cengia, per sicurezza, mi lego, ho la macchina fotografica e il pesantissimo teleobbiettivo che mi sbilancia notevolmente, l’ho tenuti fuori con la speranza di incontrare ancora qualche animale, ma in alto chi poteva si era già messo al riparo dall’imminente pioggia.

Il cielo nel frattempo era ulteriormente sceso, coprendo con le nuvole la cima dell’Argentera, e continuando a scendere verso il bivacco.

Passata la cengia e lo strapiombo con il passaggio esposto, il sentiero si dipanava sull’ultima parte della parete, ripido, ma ormai era quasi sicuro.

Ben presto guadagno la quota della diga, e riesco ad arrivare al rifugio Genova, dove mi ricordo che sono le 16, 30 e che io devo ancora pranzare…molto sbadatamente cerco qualcosa da sgranocchiare per occupare l’attesa di Stefano e Michelangelo, una lunghissima attesa, visti i presupposti, nessuno si vede, e al bivacco nulla è cambiato nelle ultime 2 ore di discesa.

Unico sentore e campanello di eventuale cambiamento, è che i due ospiti del bivacco, che erano restati ancora all’interno dopo la mia discesa, andando via hanno lasciato la porta del bivacco aperta, fatale errore o dimenticanza loro,che io sfrutto con astuzia, pensando a Stefano e Michelangelo, non lascerebbero mai un bivacco a 2900 metri con la porta aperta, tantomeno prima di un imminente temporale di quelli da favola… , per cui non essendo salito nessun’altro dal questo versante, ed essendo ormai gli unici che scenderanno da questo lato della montagna, molto presumibilmente quando la porta del bivacco sarà chiusa, sarà un tangibile segno del loro passaggio in discesa, e dopo un’ora e mezza ottimisticamente mi avranno raggiunto, viaggiando molto più velocemente di me in discesa. (anche in salita….)

Gli zaini dei miei compagni erano restati al bivacco, non potevo portare tutto io a valle, confidavo vivamente in questi miei pensieri per poter essere tranquillo del loro passaggio in discesa.

Nell’attesa, essendo una lunga attesa ho iniziato a perlustrare i dintorni del rifugio, che sorge su un altipiano di fianco alla possente diga.

Non lontano dal rifugio scorgo le evidenti tracce di un ungulato che più o meno regolarmente scende a fare visita al rifugio, forse attirato dal cibo, forse per mancanza di cibo in alto, dopo un giro molto largo riesco anche a vederlo, è una specie di daino, non troppo piccolo, ma neanche un esemplare grande.

Appena mi vede in lontananza scappa e si nasconde tra le asperità della spianata, e scompare alla vista.

Devo tornare, allo zaino il vento si è alzato molto forte e il freddo è diventato veramente intenso, al punto che devo mettere uno strato ulteriore e il berretto di lana.

A tratti utilizzo persino i guanti, causa la mia poca attività durante l’attesa e per controllare con il teleobbiettivo il bivacco lassù il mio campo di movimento perimetrale è molto ristretto, ho un grosso costone della montagna che mi inibisce la visuale sulla parete se mi sposto di tanto.

Sono quasi le 18,00 e nulla si è ancora mosso lassù… una sorta di preoccupazione, mista al tempo sempre peggio mi induce ad essere sulle spine… non può essere andato storto qualcosa, era una salita semplice… cosa cavolo stanno combinando lassù? Parlo persino con la guida del rifugio e insieme conveniamo che aspettiamo ancora un’ora, poi eventualmente saliamo a dare un’occhiata.

Il bivacco adesso è appena percettibile, le nubi, lo stanno per avvolgere, a volte una lieve velatura causata da una nuvola sottile gli passa davanti e lo rende invisibile, ma passa e va…

La porta si è chiusa!!!

La porta del bivacco lassù è chiusa, riguardo per essere sicuro, da quaggiù il bivacco è poco più di un puntino, è veramente chiusa. Buon segno?

Saranno loro ad aver chiuso la pesante porta del bivacco?

Chissà…

Dopo circa una decina di minuti di attenta osservazione della parete, intravedo due puntini che tra un sasso e l’altro della pietraia stanno scendendo a grandi balzi, sono sicuramente loro.

Rincuorato da questa vista, mi rilasso e nel freddo della giornata, mi preparo a prendere meno acqua possibile, di andare nel rifugio non se ne parla.

Quando li vedo passare sulla cengia esposta, circa un’ora dopo, la voglia di riparlare e sapere cosa è successo è tale che mi incammino verso di loro ripercorrendo il sentiero in salita, naturalmente senza zaino….

È restato protetto sotto il telo impermeabile vicino al rifugio.

Dopo una ventina di minuti li incontro finalmente, la gioia è tanta e le spiegazioni alle mie domande non tardano…

Hanno trovato traffico… paradossale, c’erano troppe persone sulla parete, e hanno dovuto attender e il loro turno per passare lungo le vie obbligate.

L’importante ora è essere tutti insieme per poter procedere, il tempo è veramente scuro, quasi nero, e la discesa verso valle mi pare un’ottima soluzione, il prima possibile.

Ci fermiamo a bere una birra dal gestore del rifugio Genova e poi via, verso quella che pensavamo fosse la semplice strada del ritorno, se non chè...

Sono le 20.00, è ormai buio, qualche goccia di pioggia ha già bagnato i nostri indumenti, ma per ora la tregua pare reggere ancora…

La vecchia strada dell’Enel tanto decantata all’inizio, circa un anno fa a nostra insaputa è stata interessata da una, meglio da una serie di frane, che hanno interessato tutto il versante della montagna e di conseguenza anche la strada ha subito qualche piccola variante…., ben 9 frane lungo l’arco della montagna hanno distrutto irrimediabilmente la strada, ed essendo la strada a tornanti con curve 180 gradi, la stessa frana la ritrovavamo ripetuta nel tornante sottostante, e così via fino al parcheggio dell’auto.

Aggirare una frana di quelle proporzioni significava passare blocchi di roccia delle dimensioni di una casa bifamiliare, con passaggi nel vuoto, a strapiombo sul versante successivo che a sua volta era a strapiombo sulla diga sottostante, molto divertente, se inoltre aggiungete la totale mancanza di luci, avendo esaurito quasi totalmente le batterie delle torce frontali, e la luce disponibile non superava i 2 metri, potete immaginare la situazione, alcuni passaggi erano tanto stretti che lo zaino non passava, occorreva inventare il sistema più rapido e non sempre sicuro per aggirare gli enormi blocchi non sempre stabili,

spesso anche il non poter illuminare era utile per non vedere dove dovevamo passare, anche se se ne intuiva benissimo lo scenario...

Velocemente anche per non diventare pulcini bagnati, mi sarebbe spiaciuto in questa situazione essere anche sotto la pioggia, ma l’avremmo presa di buon grado lo stesso, come sempre…

Tornante dopo tornante anche la discesa da questo labirinto di massi instabili è giunta al termine e le fresche acque della diga naturale di fianco al parcheggio, increspandosi sotto l’effetto del vento che nel frattempo non ha mai cessato la sua attività, ci lascia sentire tra una folata di vento e l’altra il rumore delle sue acque che nell’oscurità si sentono, ma non si vedono.

Un veloce pasto visto che sono già le 23,00, poi saliamo in macchina, destinazione casa.

Il ritorno è pregno di ricorsi, sensazioni, emozioni provate e condivise, la strada corre veloce sotto le ruote, ma prima delle 4.10 non poggio il piede dentro la soglia di casa… e domattina in ufficio… non ci voglio pensare… Stefanone che sarà l’ultimo ad arrivare toccherà il letto verso le 6,30.

Povero Stefano (poveri anche i suoi genitori, che lo stanno aspettando alzati…).

Non era previsto un ritardo così clamoroso.

...Alla prossima avventura.

Bi

Alpi Marittime - Argentera - Bivacco Baus

Alpi Marittime - Argentera - Bivacco Baus

Tratto da “La montagna oltre lo sguardo”, appunti di viaggio.

Questa avventura è ormai datata 8 Settembre 2001, e gli autori sono Stefano- Bigio- Michelangelo.

Le condizioni fisiche sono pessime, le condizioni ambientali sembrano buone.

Arrivati ad Entracque, in provincia di Cuneo, si sale sulla strada che costeggia la diga, e si arriva fino all’ultimo parcheggio sul lago della Piastra, poi si sale seguendo le indicazioni per il rifugio Genova. Una volta arrivati al piazzale del rifugio se c’è buona visibilità sopra le vostre teste sulla destra, sullo sperone c’è un piccolo puntino Rosso, quello è il Bivacco Baus.

Per la salita al bivacco Baus sono richieste doti di buona camminata su terreno molto scosceso e una buona dose di equilibrio, c’è un solo passaggio veramente tosto, in cui si passa su uno sperone di roccia esposto nel vuoto della diga a circa 300 metri sopra la stessa.

Il resto del percorso è un terreno scosceso da prima sentiero, poi una flebile traccia tra gli sfasciumi di roccia, per gran parte del tragitto si naviga a vista, del bivacco, o degli ometti sulla traccia, in caso di nebbia.

Il dislivello è circa 1000-1100 metri dal parcheggio ma tirano che è un piacere….

Fate attenzione alla discesa.

La salita è abbastanza dura soprattutto molto esposta in certi tratti e lo sfasciume rende ulteriormente precaria la salita, soprattutto dopo il passaggio che secondo Ste anche i bambini lo fanno… anche lui però conviene che ora non è come una volta…. Catene poche, ciondolanti e i 300 metri di salto sul lago che bramano di tirarti in fuori…

Cavolo, la salita non finisce mai, è già buio e il bivacco si staglia ancora fuori dalla nostra portata, dopo 3 ore buone di cammino, io sto rallentando tutta la carovana…il bivacco è sopra la nostra testa… saranno 50 metri si e no…

Arriviamo circondati dagli stambecchi, che se non stiamo attenti ci pestano pure i piedi.

Al nostro arrivo troviamo un ragazzo (abbastanza strano), ceniamo insieme nello spazio angusto del bivacco e ci si scambia qualche informazione, scopriamo che è solo (bella scoperta!), genovese, che è solito fare solitarie a volte anche di settimane (direi abbastanza pericoloso!), e soprattutto, pensa cose non facili, come la risalita del ghiacciaio del Gelas da solo…, cosa che farà domattina, ha di buono che viaggia quasi scarico, non ha sacco a pelo e la cosa preoccupa, perché se ti trovi nella bratta a volte ti salva la vita avere qualcosa di caldo da metterti intorno… socievole quanto basta, non si sbilancia più di tanto.

Stellata splendida, foto al tramonto, nonostante l’altezza non fa neppure troppo freddo, è un bel freddo secco e si sta bene anche solo con il pile, considerando che rasentiamo i 2900 non è male!

Nanna.

L’alba è fantastica e la giornata si prospetta bellissima, calda.

Al mattino io sono abbastanza distrutto, a livello fisico, Ste e Michelangelo proseguono per tentare la cima sud dell’Argentera (3297 m.), nostro obbiettivo per la giornata, io non mela sento, salire magari riesco, ma per lo scendere non mi sento sicuro e preferisco aspettarli qui. Mi rilasso, faccio le foto alle donnole e rimetto a posto il bivacco.

La giornata passa tra la visita di un francese che mi ha chiesto cibo, voleva il prosciutto e gli faceva schifo il tonno! Gli ho detto che non sono un supermercato e la fame è fame, è andato via (perché i francesi non vogliono il tonno? Non è il primo che lo rifiuta…).

Alle 15.00 i nostri omini non sono neanche all’orizzonte… e la cosa si fa grigia perchè il tempo sta cambiando, e siccome siamo in alto sta cambiando anche molto rapidamente, una serie di nuvoloni scuri si sta addensando all’orizzonte e si sta avvicinando con una velocità stratosferica, nel frattempo sono arrivati 2 ragazzi che stanno riposando nel bivacco, mentre io continuo a scrutare la cima sud, c’è gente in continuazione, ma non riesco a capire se tra quelli ci sono anche Ste e Miche.

Arrivano 4 loschi figuri del Cai centrale di Genova che a quanto pare sono quelli che rimettono in sesto il bivacco, gli faccio le mie rimostranze per alcune cose che mancano e insieme facciamo il censimento delle cose della baracca.

In tanto attendo fiducioso l’arrivo dei miei due compagni di avventure… e considerando il fatto, che li avevano visti al passo dei Detriti alle 11,15 la cosa mi pare strana… ma decido lo stesso di scendere con calma, e di attendere al rifugio Genova il loro arrivo, nel frattempo mi accordo con i due occupanti del bivacco che quando scendono devono lasciare la porta del bivacco aperta, così che io possa vedere quando Ste e Miche, passano a riprendere lo zaino, e conoscendo Ste, la porta del bivacco se la chiude alle spalle, così io dal basso veda quando passano da li, poi ancora 2 ore buone per rivederli e potergli parlare.

La discesa non è affatto divertente, soprattutto sulla pietraia e il mio ginocchio sta dicendomi di tutto, nel passaggio esposto mi lego, per essere tranquillo, ho uno zaino abbastanza pesante e visto che tira in fuori…

Finalmente arrivo al Genova alle 16,45.

Alle 17.15 la porta del bivacco è ancora aperta… da un lato bene, perché i due ragazzi si sono ricordati di lasciarla aperta, ma dall’altro.. dove cavolo sono finiti Ste e Miche? Che abbiano avuto problemi? Miche è la prima salita impegnativa che fa… devo dire la verità sono preoccupato, avverto la guida alpina del Genova e insieme scrutiamo la vetta, attendiamo ancora un pochino prima di muoverci (eventualmente), speriamo non sia necessario.

17,30 la porta del bivacco è chiusa, significa che qualcuno è passato di la… e sicuramente sono loro, nella mattina non è salito nessuno, è quasi buio per il tempo basso che c’è… sono tranquillo anche se scruto ancora con il 600 la pietraia per vederli, eccoli!

Pranzo . (avevo aspettato per pranzare con loro.), ma a questo punto il freddo mi attanaglia e ho la necessità di riprendere le forze, e mi bardo da inverno con tanto di guanti e berretto.

Il tempo è veramente da lupi, freddo vento nuvole basse, maglia, camicia, pile pesante, giacca in goretex e fascia sulla zucca e ho ancora freddo, perché sono fermo a guardare, con il vento che mi chiude quasi gli occhi.

cammino.

Finalmente alle 19,15-19,30 arrivano infreddoliti come pulcini, Birra nel rifugio!

Saluti, parliamo con la guida del rifugio che ci consiglia di scendere velocemente, lo tranquillizziamo dicendo che faremo la strada che costeggia le montagne e scende lungo una serie di tornanti fino al lago della Rovina, quindi al parcheggio della macchina…, ma è una carrozzabile, per cui estremamente larga.

“la strada di servizio dell’Enel….” Diciamo noi, “la strada del disservizio… è da tempo inutilizzata” dice lui, e non aggiunge altro, e già da queste parole a noi avrebbe dovuto suonare un campanello d’allarme… invece no, noi imperterriti a bere birra e dire cavolate.

Salendo l’avevamo incrociata, e c’era un buffo quanto curioso cartello: “SCONSIGLIATO IL TRANSITO IN CASO DI MALTEMPO”, che razza di scritta è?

Lo abbiamo capito scendendo, ormai rimasti al buio con le nuvole sulla testa (nel senso basse), con una pila (la mia) funzionante e due lumini… NOVE frane (non dico un numero a caso NOVE!) gigantesche che hanno cancellato la strada nella sua globalità (so anch’io che non era utilizzata!), e alcuni passaggi erano direttamente sulla diga, che fortunatamente per l’oscurità non si vedeva. Non c’era neanche la luna (era tutto coperto!)

Con lo zaino che ti porta fuori e l’insicurezza del buio superare certi tratti è stata un’impresa, come quando c’era un passaggio in cui non ci passava neanche lo zaino, eravamo disperati, al punto da decidere di svuotarlo e far passare la roba e lo zaino separatamente, poi abbiamo tentato una cosa fuori di testa…. Ci è andata bene.

Eravamo assai tesi per l’imprevisto che ci stava rallentando, incavolati con chi ha messo quell’assurdo cartello, senza essere più chiaro, potevano scrivere FRANA. Spendevano meno e il cartello era esplicito!

Alle 22.02 toccavamo la macchina dopo aver superato per almeno 18 volte le frane, considerando che la strada era a tornanti da una frana ritornavi sulla stessa qualche metro più a valle…

Non faccio commenti sui piedi.

Piccolo boccone a Entracque, dopo una discussione sulle vie di fuga dalla strada in caso di inondazione e apertura della diga… IMPOSSIBILE VIA DI FUGA a meno di essere Superman o qualunque cosa in grado di volare.

Dopo di che via verso casa…. Alle 4,30 arrivo a casa dopo aver svaligiato un autogrill di tutto quello che avevano in forma liquida, fino ad allora solo acqua di fusione e una birra.

venerdì 18 gennaio 2008

Val d’Otro - passo foric e Rifugio città di Vigevano e rifugio Guglielmina




 

La val d’Otro, a sinistra della Val Sesia, si ricongiunge con la stessa al passo foric, e al col d’Olen si unisce ulteriormente alla valle di Gressoney.
Giro della Val d’Otro con passaggio al colle d’Olen e salita al rifugio Vigevano,oppure al Rifugio Guglielmina e proseguendo fino sotto Punta Indren.
Dopo un arrivo in valle ad Alagna Valsesia, non può mancare un giro per il caratteristico paese, se necessario fare rifornimento di viveri, lungo il percorso non ci sono punti in cui poter fare la spesa, ma ci sono alcune strutture che vi possono ospitare, ma andiamo con ordine.
Una volta ultimata la vostra sete di conoscenza del paese e fatti i necessari rifornimenti, zaino in spalla e si inizia il sentiero che dietro la casa Colonia, si immerge nel verde paesaggio della vallata e sale con grossi gradini verso le prime pendici della montagna sovrastante (un 2000 metri).
Da Alagna non si vede il Monte Rosa, perché rimane coperto da una catena più bassa di cime di 2000 metri.
La salita al paese di Dorf una delle piccole Frazioni di OTRO, è relativamente breve, si passa dai 1191 del paese di Alagna ai circa 1670 metri delle caratteristiche case di Dorf uno dei piccoli insediamenti della val d’Otro.
Durante il tragitto ricordatevi in prossimità dello steccato di passare a visitare le caldaie d’otro, una serie di cascate di acqua di fusione che formano un laghetto con conseguente scarico d’acqua verso valle, fate attenzione soprattutto d’estate l’acqua è notevolmente veloce ed impetuosa e la portata d’acqua notevole.
Nonostante tutto la pendenza è tale per cui se non avete un discreto allenamento vi ci vorrà circa un’oretta per salire in paese (20 minuti se si è allenati), dipende anche da che peso avete sulle spalle…
La bellezza del luogo è la sua semplicità, le baite in via di ristrutturazione, le vecchie e caratteristiche abitazioni in legno vengono rimesse a nuovo, con lo stesso stile delle precedenti costruzioni, addirittura con gli stessi materiali, vengono sostituiti i travi marci e pericolanti, e vengono riutilizzate le stesse beole, pietre di ardesia per il tetto.
La valle è incontaminata, la vita sembra si sia fermata a 2 secoli fa, pascolo di mucche, nessuna macchina, si può solo salire a piedi, pace e tranquillità.
Se siete rispettosi del pascolo potete pernottare piantando la tenda in una delle tante nicchie che il paesino dispone, ricordate che i pascoli sono privati, e il terreno su cui poggiate eventualmente la tenda sono comunque di proprietà, quindi siate rispettosi, e create meno problemi possibili a chi vive nella valle.
In paese esiste una struttura ricettiva per il pernottamento e il ristoro lo ZAR SENNI, quasi sempre aperto durante i periodi di buona stagione, altrimenti solo nei fine settimana.
Un buon metodo potrebbe essere quello di piantare una tenda base a Dorf, e da qui poter effettuare alcune escursioni nelle vicine valli.


Effettivamente la val d’otro rappresenta un buon compromesso per non sostare ad Alagna paese, vivere in mezzo alla natura e in breve tempo raggiungere alcune mete, come per esempio i laghi Tailly, interessante escursione nel vallone fino alla saluta all’ormai scomparso Nevaio del Puio, il bivacco Marinelli,
il Passo Foric, il Col d’Olen, il Passo dei Salati e il successivo Punta Indren.
Le valli Sesia e Di Gressoney…
Insomma un buon punto base per effettuare escursioni o salite di uno o più giorni, per poi tornare alla base, relativamente anche vicino al paese per gli eventuali rifornimenti di cibo.
L’acqua abbonda ovunque.
È bene comunque sempre munirsi di cartina topografica dettagliata della zona e della sentieristica disponibile, i sentieri sono abbastanza ben segnati, ma in caso di poca visibilità può risultare di ottimo aiuto per orientarsi.
Un giro interessante potrebbe essere un anello con partenza sempre da Dorf, salita al Passo Foric (in circa 1,5 ore) , dove la Val d’Otro si ricongiunge alla Val Sesia,
partiamo quindi alla scoperta della Val d’Otro, si salgono i primi alpeggi, accompagnati dalle campane delle mucche che pascolano e dal richiamo delle marmotte che si allarmano al nostro passare.
Un pastore nel suo rifugio in quota sta preparando il latte, mentre la moglie munge instancabilmente le mucche, che docilmente attendono il loro turno, mangiando l’erba e salutandoci con un potente muggito, quando gli passiamo vicino.
Arrivati in prossimità del passo Foric, nel vallone sopra Alagna, ci accingiamo a salire verso i rifugi che nelle giornate senza nebbia, si vedono in alto a qualche centinaio di metri di dislivello.
Per raggiungere la costa su cui si inerpica il sentiero che conduce al Rifugio, occorre cambiare vallata e scendere per un centocinquanta metri per il sentiero 5b, poi in un sentiero che a malapena le capre riuscirebbero a salire ci arrampichiamo fino alla cima.
In realtà esistono due sentieri che portano al pianoro 5/5c, su cui è situato il rifugio Vigevano (circa 3 ore da Dorf ) (2889 metri), uno semplice ma lungo, come potete immaginare, uno corto, ma con la particolarità di dover utilizzare tutte e quatto le zampe che ti restano!.
Dopo una abbondante ora di salita ripida, le bandiere del piazzale del rifugio salutano il nostro arrivo.
Il piazzale, nonostante si trovi a 2889 metri, è spesso affollato di persone e stambecchi che incuranti delle persone leccano il sale della pietra davanti al rifugio.
Il rifugio Guglielmina è di fianco al Vigevano, ed entrambi sono perfettamente funzionanti con un’ ottantina di posti letto a testa.

Proseguendo il sentiero in breve si può raggiungere il Col d’Olen, oppure il Rifugio Scientifico Mosso (2900 metri), ultimamente ristrutturato dopo l’incidente di qualche anno fa, la salita fino al passo dei Salati (sul filo dei 3000 metri), dove c’è l’arrivo dell’ovovia da Gressoney e l’arrivo del primo troncone della cabinovia da Alagna…
Purtroppo, o per fortuna il progresso in queste valli ha portato una serie di innovazioni che da un parte hanno portato turismo e comodità ai valligiani, dall’altro hanno deturpato la vista della valle con immensi impianti di risalita e hanno incrementato il turismo di massa anche alle alte vette.
Non è difficile imbattersi in persone in scarpette da tennis che si aggirano in prossimità del ghiacciaio a punta Indren, come se fosse la cosa più ovvia.
Il ghiacciaio dell’indren, come del resto quasi tutti i ghiacciai delle Alpi si sta velocemente ritirando, anno dopo anno, cedendo il suo terreno alla roccia e allo sfasciume di detriti.
Volendo si può decidere di fare una digressione dal percorso ad anello e salire dal passo dei Salati a Punta Indren (3320 metri), passando dallo Stolberg, un sentiero attrezzato con corde e catene, leggermente esposto, ma abbastanza di facile percorrenza. per poi tornare sui propri passi e ridiscendere dal rifugio Vigevano per uno dei tanti sentieri che scendono verso valle ad Alagna, oppure se non necessita scendere a valle, potete sempre risalire al passo Foric e tornare a Dorf per la strada percorsa all’andata.
Dal Passo dei Salati è possibile scendendo costeggiando l’enorme pista da sci oppure per sentiero, scendere a Gressoney La Trinitè, Salire dal passo al Rifugio Mantova (3400 metri circa) o al rifugio Gniffetti (3667 metri) per poi adeguatamente equipaggiati (ramponi picca e attrezzatura da ghiacciaio) salire verso la Capanna Margherita (4559 metri) Il più alto rifugio d’Europa.
Dal Rifugio CITTÀ DI VIGEVANO si può raggiungere il Rifugio PASTORE con un sentiero che passando in quota scende da 2889 m. a 1800 del rifugio CRESPI CALDERINI.
Il rifugio PASTORE ALPE PILE (1575 m.) (Tel. 0163/91220), si trova nel parco naturale dell’alta Val Sesia (parco più alto d’Europa), è anche lui un buon punto di appoggio per i sentieri più alti, da qui s può raggiungere il bivacco incustodito GUGLIERMINA (3400 m.), sulla traccia del ghiacciaio del Bors.
Rifugio CITTÀ DI MORTARA si trova all’inizio del vallone del COL D’OLEN, ottimo riferimento per lo sci invernale (Percorso da Gressoney a Alagna e veceversa).
Dal Fondo valle di ALAGNA al rifugio CITTÀ DI MORTARA il tempo previsto è di circa 2 ore.(sentiero n° 5)
Dal rifugio CITTÀ DI MORTARA al RIFUGIO VIGEVANO il tempo previsto è di circa 3 ore. (sentiero n° 5 e 5c)
Numeri Utili:
  • Rifugio CITTÀ DI VIGEVANO (0163-91105)
  • Rifugio Guglielmina +39 0163-91444 cell. +39 347 2732082
  • Rifugio Città diMantova +39 0163-78150
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