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Con nuovi racconti e nuove avventure...

lunedì 18 febbraio 2008

Trekking Invernali - cosa mettere nello zaino


Trekking di un giorno:

Lo Zaino...
Per un trekking di un giorno, basta uno zaino da circa 30 litri, non meno in quanto non si può avere uno zaino per ogni evenienza, per cui, meglio uno zaino leggermente più capiente, invece di constatare poi che parte del vostro materiale non ci entra.

Queste informazioni sono solo di esempio, ognuno è libero di aggiungere o togliere quello che all'occorrenza ritiene superfluo, ma in molte occasioni anche quello che pare superfluo potrebbe rivelarsi indispensabile.
Con questo non dovete partire con il materiale per affrontare una scalata in alta quota, ma ci sono cose che non dovrebbero mai essere lasciate a casa.

Tutto deve essere commisurato a quanto dura la vostra escursione e a che quota vorreste arrivare; in molte occasioni questi due indumenti mi sono stati molto utili.

Gli indumenti...
Soprattutto durante la stagione invernale, L'isolamento termico ha un'importanza molto rilevante; ricordate che anche se partite con il sole, in montagna il tempo cambia molto rapidamente, e la temperatura scende altrettanto rapidamente, per cui è utile partire con un abbigliamento a strati, da togliere e aggiungere in caso di necessità.
Prevedete sempre di avere un indumento antivento e antipioggia.
Se eliminate il vento e l'umidità avete risolto gran parte delle problematiche.

I guanti sono indispensabili, se le mani sono congelate, sono inutilizzabili, fate in modo che un paio di guanti restino sempre in fondo allo zaino, anche nelle stagioni estive.

Facciamo una breve liste delle cose che dovrebbero entrare nello zaino:
Dovete cercare di avere l'indispensabile nel minor peso possibile.
  • Guanti
  • Guscio leggero antivento e anti pioggia (Tipo Goretex)
  • strato termico (isolamento dal freddo)
  • strato traspirante (molto importante)
  • pantaloni in goretex o materiale strech che asciuga molto rapidamente
  • coltellino multiuso
  • Borraccia
  • cordino
  • Accendino
  • Fazzolettini di carta
  • Occhiali da sole con protezione, totale se si prevede di raggiungere quota neve.
  • Berretto
  • un Kit di primo soccorso (utile in caso di piccoli inconvenienti).
  • un telo termico (telo argentato termo riflettente) potrebbe essere molto utile in caso di emergenza
  • torcia frontale con batterie di ricambio (l'oscurità arriva prima in inverno)
  • Consigliata una buona carta topografica dettagliata della zona, soprattutto se non conoscete bene il posto.
  • una maglietta di ricambio è consigliabile.
  • un indumento termico, pile o altro (se non siete freddolosi anche senza maniche, è più leggero)
  • Utile un telefono cellulare, anche se non ci farei troppo affidamento, in montagna potrebbe non esserci copertura della rete.
Lo strato traspirante è quello a diretto contatto con la pelle, che deve eliminare velocemente il sudore e far traspirare verso gli strati superiori l'umidità in modo tale da lasciare la pelle asciutta e non far perdere ulteriore calore al corpo.
Altrimenti potete avere tutti gli strati isolanti che volete, ma resterete comunque bagnati e infreddoliti.
Un utile consiglio è quello di racchiudere il vostro materiale in sacchetti di plastica, prima di inserirli nello zaino, gli indumenti/materiale resterà più asciutto anche in caso di forte pioggia.

facoltativi, anche se molto utili possono essere:
  • Bussola
  • Altimetro
  • macchina fotografica
  • matita e fogli per appunti
  • Binocolo compatto
Fino qui si tratta di uno zaino quasi normale, a parte gli strati termici aggiuntivi, poi per un trekking invernale sono necessari alcuni accorgimenti per non avere problemi:

  • un paio di scarponi rigidi o semi rigidi, in goretex o comunque impermeabili o con lo scafo in materiale plastico, è importante che il piede resti asciutto e possibilmente caldo
  • Ghette (vi evita che la neve entri negli scarponi)
  • Racchette da neve
  • Ramponi per il ghiaccio (in alternativa o in aggiunta alle racchette da neve)
  • piccozza
  • uno spezzone di corda
Per camminare nella neve le racchette sono più utili, in quanto galleggiano anche nella neve alta, su superfici ghiacciate i ramponi hanno una migliore presa e tenuta.

In aggiunta per i particolari indumenti o materiali specifici dipende da che attività mi prestate ad affrontare.

Da non sottovalutare gli alimenti e le bevande, possibilmente non gassate.

Per ulteriori dettagli chiedete pure...

Considerate anche l'eventualità di dover scaldare bevande calde, per cui all'occorrenza potrebbe servire:
  • un Fornellino con bombola
  • un contenitore per far scaldare le bevande di materiale metallico
  • un cucchiaio

Trekking di più giorni:


Se la vostra avventura dura più giorni occorre prevedere uno zaino più capiente e una maggiore quantità di materiale.
basiamoci su una dimensione media, 40 litri sono sufficienti, se il materiale da trasportare è tanto, meglio prevedere nell'acquisto di uno zaino con un capacità superiore, 55 litri potrebbe risolvere tutti i problemi.

le cose da portare sono le stesse della parte precedente, non le ripeto perché ritengo indispensabile la lettura anche delle note, non solo dell'elenco di oggetti, per cui vi rimando alla lettura della parte relativa al materiale necessario per una sola giornata.

Considerate che il pernotto in inverno è molto rigido, per cui dove possibile appoggiatevi a strutture come rifugi o bivacchi.

Oltre al materiale già citato che dovrebbe essere sempre presente vanno aggiunte altre cose:

Materiale per la notte:
  • sacco a pelo
  • materassino autogonfiante/ stuoino per un buon isolamento dall'umidità del terreno se non dormite in rifugio.
  • indumenti asciutti per dormire
  • una pila, meglio se frontale con batterie di ricambio, utile per muoversi nella notte lasciandovi le mani libere.
  • Berretto di lana
  • Ricambi Vari
  • ulteriore strato termico (Pile)

Non guasta prevedere anche:
  • Telo termico di emergenza
  • Fischietto
Mangiare
quello che vi potrebbe servire, ma considerate di avere sempre una scorta di

  • Reintegratori salini
  • Cioccolato
  • Zucchero in zollette
spero che vi possa essere utile in qualche modo.

Siti Correlati: 

Bastoncini-da-trekking-nordic-walking
Come-scegliere-uno-zaino-da-trekking



Trekking estivi - cosa mettere nello zaino


Trekking di un giorno:

Lo zaino...
Per un trekking di un giorno, basta uno zaino da circa 30 litri, non meno in quanto non si può avere uno zaino per ogni evenienza, per cui, meglio uno zaino leggermente più capiente, invece di constatare che parte del vostro materiale non entra nello zaino.

Queste informazioni sono solo di esempio, ognuno è libero di aggiungere o togliere quello che all'occorrenza ritiene superfluo, ma in molte occasioni anche quello che pare superfluo potrebbe rivelarsi indispensabile.
Con questo non dovete partire con il materiale per affrontare una scalata in alta quota, ma ci sono cose che non dovrebbero mai essere lasciate a casa.

Tutto deve essere commisurato a quanto dura la vostra escursione e a che quota vorreste arrivare; in molte occasioni questi due indumenti mi sono stati molto utili.
  • Guanti
  • Guscio leggero antivento e antipioggia
Ricordate, anche se partite con il sole in montagna il tempo cambia molto rapidamente, e la temperatura scende altrettanto rapidamente, per cui prevedete sempre di avere un indumento antivento e antipioggia, la sola mantellina antipioggia se la vostra escursione dura più di un'ora potrebbe essere insufficiente.

Se le mani sono congelate, sono inutilizzabili.

Facciamo una breve liste delle cose che dovrebbero entrare nello zaino:
Dovete cercare di avere l'indispensabile nel minor peso possibile.
  • Guanti
  • Guscio leggero antivento e anti pioggia (Tipo Goretex)
  • coltellino multiuso
  • cordino
  • Accendino
  • Fazzolettini di carta
  • Occhiali da sole con protezione, totale se si prevede di raggiungere quota neve.
  • Berretto
  • un Kit di primo soccorso (utile in caso di piccoli inconvenienti).
  • Consigliata una buona carta topografica dettagliata della zona, soprattutto se non conoscete bene il posto.
  • una maglietta di ricambio è consigliabile.
  • un indumento termico, pile o altro (se non siete freddolosi anche senza maniche, è più leggero)
  • Utile un telefono cellulare, anche se non ci farei troppo affidamento, in montagna potrebbe non esserci copertura della rete.
a volte è meglio avere un buono strato sul corpo, lo zaino anche se si bagna non patisce, meglio una giacca al posto della mantellina.

un utile consiglio è quello di racchiudere il vostro materiale in sacchetti di plastica, prima di inserirli nello zaino, gli indumenti/materiale resterà più asciutto anche in caso di forte pioggia.

facoltativi, anche se molto utili possono essere:
  • Bussola
  • Altimetro
  • macchina fotografica
  • matita e fogli per appunti
  • Binocolo compatto
In aggiunta per i particolari indumenti o materiali specifici dipende da che attività mi prestate ad affrontare.

Da non sottovalutare gli alimenti e le bevande, possibilmente non gassate.

Per ulteriori dettagli chiedete pure...


Trekking di più giorni:


Se la vostra avventura dura più giorni occorre prevedere uno zaino più capiente e una maggiore quantità di materiale.
basiamoci su una dimensione media, 40 litri sono sufficienti, se il materiale da trasportare è tanto, meglio prevedere nell'acquisto un litraggio superiore, 55 litri potrebbe risolvere tutti i problemi.

  • Guanti
  • Guscio leggero antivento e anti pioggia (Tipo Goretex)
  • coltellino multiuso
  •  Borraccia
  • cordino
  • Accendino
  • Fazzolettini di carta
  • Occhiali da sole con protezione, totale se si prevede di raggiungere quota neve.
  • Berretto
  • un Kit di primo soccorso (utile in caso di piccoli inconvenienti).
  • Consigliata una buona carta topografica dettagliata della zona, soprattutto se non conoscete bene il posto.
  • una maglietta di ricambio è consigliabile.
  • un indumento termico, pile o altro (se non siete freddolosi anche senza maniche, è più leggero)
  • Utile un telefono cellulare, anche se non ci farei troppo affidamento, in montagna potrebbe non esserci copertura della rete.
  • Bastoncini da trekking
  • bussola (opzionale)
  • Altimetro (opzionale)
  • macchina fotografica (opzionale)
  • matita e fogli per appunti (opzionale)
  • Binocolo compatto (opzionale)
Oltre al materiale già citato che dovrebbe essere sempre presente vanno aggiunte altre cose:

Materiale per la notte:
  • sacco a pelo
  • materassino autogonfiante/ stuoino per un buon isolamento dall'umidità del terreno se non dormite in rifugio.
  • indumenti asciutti per dormire
  • una pila, meglio se frontale con batterie di ricambio, utile per muoversi nella notte lasciandovi le mani libere.
  • Berretto di lana
  • Ricambi Vari
  • ulteriore strato termico (Pile)

Non guasta prevedere anche:
  • Telo termico di emergenza
  • Fischietto
Mangiare
quello che vi potrebbe servire, ma considerate di avere sempre una scorta di

  • Reintegratori salini
  • Cioccolato
  • Zucchero in zollette
spero che vi possa essere utile in qualche modo.

Suggerimenti:

Bastoncini da trekking

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Come-scegliere-uno-zaino-da-trekking 




martedì 12 febbraio 2008

Walter Bonatti K2 la verità

Prima di addentrarci nella ormai non più misteriosa, ma sempre ignobile vicenda, facciamo una breve storia della montagna in questione.
La vetta del K2 è la seconda vetta della terra 8611 metri (8616 metri dall'altima misurazione) battuta dall'Everest 8850 pare dall'ultima misurazione…
La vetta del K2 si trova al confine tra Pakistan e India nella regione del KaraKorum.
Non fu una delle prime vette ad essere conquistate, ma nemmeno una delle ultime, la prima vetta ad essere salita (e non uso il termine conquistata apposta) fu l'Annapurna 8091 m nel 1950; la vetta del K2 venne salita la prima volta il 31 Luglio 1954 dalla squadra Italiana Lacedelli-Compagnoni facenti parte della spedizione Italiana comandata dal mitico Geologo Ardito Desio.
La vicenda della salita da parte delgi italiani presentava parecchi lati oscuri, la spedizione era composta da noti personaggi dell'alpinismo anche per l'epoca dei fatti, erano sti scelti i migliori alpinisti italiani per la missione, fortemente sponsorizzata dal CAI centrale, alcuni di loro abbastanza avanti con gli anni, alla spedizione partecipava anche Walter Bonatti, che ventiquattrenne e fortissimo alpinista era in grado di fare cose che altri alpinisti, anche se espertissimi non riuscivano a fare in modo disinvolto.
Bonatti era particolarmente in forma, era riuscito ad acclimatarsi benissimo e partecipò all'assalto finale.
la mattina del 30 Luglio 1954, fece una vera e propria impresa scese dall'ottavo campo a cui si trovava quasi al settimo per recuperare i due pesanti trespoli con le bombole d'ossigeno per l'assalto alla vetta, fece circa 500 metri di dislivello in discesa e oltre 700 metri di dislivello in salita, trovandosi ad una quota poco superiore a 8100 metri e fu costretto a bivaccare all'aperto, perchè nonostante gli accordi con Lacedelli e Compagnoni la sera prima il campo numero nove era stato spostato, instalalto in un versante della montagna non visibile dalla parte in cui si trovava Bonatti. e così Walter e l'Hunza Madhi furono costretti a passare la notte seduti sul ghiaccio e alle intemperie di quella quota e alle bufere che durante l anotte si scatenarono.
Il giorno successivo i due, Compagnoni e Lacedelli, recuperate le bombole tentarono con successo l'attacco alla vetta del K2.
Alle 18.00 circa del 31 Luglio1954 anche la vetta della seconda montagna del mondo aveva una bandiera sulla sua cima, ed era la bandiera italiana.
Il libro in questione è l'ultimo rifacimento dell'autore, che dal 1954, fino all'anno scorso in cui cadeva il cinquantenario della prima salita del K2, ha visto defraudati e calpestati tutti i suoi diritti e la sua versione dei fatti non venne mai presa in considerazione dagli organi importanti, quelli che hanno il potere di fare mergere la Verità.
il libro è il riassunto dettagliato e puntiglioso di tutte le fasi dal racconto drammatico della vicenda vissuta in prima persona, in cui Bonatti riesce ad uscirne miracolosamente indenne, mentre l'Hunza Madhi riporterà una serie di amputazioni delle dita delle mani e dei piedi per questo spiacevole inconveniente; nel 1964 seguì un processo sempre in relazione a questa vicenda, a cui seuirono anno dopo anno una serie di articoi diffamatori della versione di Bonatti, ed il continuo silenzio del CAI centrale e di tutte le più importanti istituzioni alpinistiche non fecere altro che rimarcare sempre di più l'autenticità della versione che Il professor Desio e gli altri componenti della spedizione fecere al loro arrivo in patria, cosa che per altro è stata smentita proprio recentemente.
Quella fatidica notte cercarono di scaldarsi per tutta la notte senza dormire, e nonostante le temperature intensamente sotto lo zero, non riportò nessun congelamento (cosa praticamente rarissima, visto che sono pochi gli alpinisti con tutte le dita delle mani e dei piedi, magari senza nemmeno aver trascorso una notte all'addiaccio a 8100 metri, dove le temperature scendono tranquillamente a -40 gradi centigradi), madhi invece suì alcuine amputazioni.
La bufera notturna sollevò una tale quantità di neve che coprì i trespoli su cui erano fissate le bombole, e resero precaria la stabilità sia fisiche che mentale dei due alpinisti, che senza tenda e senza riparo attesero l'alba;
Alle prime Luci Madhi pano piano scese verso il campo numero otto, Bonatti attese ancora un poco e poi per le sette si mosse anche lui verso il campo in basso.
Fino a quel momento nessuno si era fatto vedere dalla parte alta della montagna.
Lo stesso giorno Lacedelli e Compagnoni arrivarono in vetta, conquistando il primato di primi salitori e scendendo potete immaginare il putiferio che scoppiò.
Walter nel suo libro ben strutturato smonta tutta la tesi e la Verità ufficiale che per anni è restata di dominio pubblico, la stessa cartografia del luogo riportava informazioni errate, e Bonatti, con impagabile pazienza ha avuto la costanza di attendere più o meno pacatamente il giusto riconoscimento, per altro doveroso da parte del mondo, non solo quello alpinistico.
Quando scrivo queste affermazioni sono nettamente di parte, e non capisco per quale motivo ci siano persone che nonostante sappiano bene come sono andati i fatti, essendo uno dei protagonisti, si ostini a negare l'evidenza, a voler querelare il mondo, volerla vinta a tutti i costi, anche se tutte le dimostrazioni di Walter Bonatti, dicano esattamente il contrario, e sono tutte dimostrazioni circostanziate, fornite di calcoli scientifici e precisazioni dettagliatissime, esempio è arrivato persino a calcolare a che ora inizio ad albeggiare e a che ora sorse il sole quella benedetta mattina del 31 Luglio 1954, a 8100 metri del K2...
Cinquanta anni di soprusi e calunie, che puntualmente Walter smentiva e continuava la sua personale battaglia.
Sono contento che alla fine la verità sia saltata fuori.
Compagnoni addirittura aveva tirato fuori una pazza versione, che per altro in parte divenne la verità ufficiale, che lui e Lacedelli arrivarono in cima al K2 senza Bombole, che finirono a 8400 metri circa alle 16.00 e gli ultimi 200 metri li percorsero senza respiratoriin sole due ore, quindi andando ad una media di 100 metri di dislivello all'ora, IMPOSSIBILE PER QUELLE QUOTE!!!!!
Bonatti dimostrerà che le bombole finirono alle 18.00 circa 15 minuti prima di raggiungere la vetta e la salita mantenne una media di Salita intorno ai 50-51 metri di dislivello all'ora....
ben diverso dalle dichiarazioni ufficiali.
La mia personale domanda è ma se il signor Compagnoni non ha nulla da nascondere o non ha commesso azioni disoneste per evitare che lo stesso Bonatti potesse raggiungere il nono campo ed eventualmente la vetta, perché escogitare tante falsità per una questione che è di limpida descrizione?
La risposta la lascio a voi, dopo la lettura del libro.

piccola digressione dal libro...
La questione di quello che successe sulla cima del K2, però venne messa a tacere al punto che il buon Bonatti si arrabbiò talmente tanto che fece una cosa che nessuno aveva mai tentato la scalata in solitaria del pilastro Sud-ovest del Dru una parete nella catena del Monte Bianco.

All'inizio del mese ci sono stati i festeggiamenti in occasione del Festival di Trento e a malincuore devo riconoscere che le mie aspettative si sono avverate...
In occasione del 52 esimo filmfestival di Trento, festival della montagna, dove vengono premiati i film e le recensioni più rappresentative dell'anno.
Vi allego inoltre una considerazione personale già riportata in un'altra opinione sulla questione dei festeggiamenti dei cinquantenario della salita del K2...
Per il cinquantenario della salita del K2 il 31 Luglio 1954, e dalle polemiche durate appunto 50 anni, su quello che veramente avvenne nelle giornate 30 e 31 luglio 1954 al campo IX… tra 7900 metri e la vetta del K2, è stata istituita una commissione superpartes composta da 3 insigni personaggi : Fosco Maraini, Alberto Monticane, Luigi Zanzi, che per l'inizio del Film festival ha redatto la sua Verità, la relazione su che cosa è realmente successo in tale data in quei luoghi.
Una relazione che si proponeva di consegnare alla storia la verità, non una nuova verità, LA VERITà, Senza polemiche di sorta, anche perché dopo 50 anni forse non ha senso accusare qualcuno, ma la cosa non è stata apprezzata dai due personaggi, Compagnoni e Lacedelli, che hanno replicato in modi diversi.
Il lavoro del team ha rivalutato notevolmente la figura di Walter Bonatti, che all'epoca solo ventiquattrenne, ha rinunciato alla vetta per portare le bombole di ossigeno alla cordata di punta che il giorno seguente sarrebbe arrivata in vetta.
Lacedelli ha solo dichiarato che uscirà a breve un suo libro in cui racconterà la sua versione dei fatti, e Compagnoni si è rammaricato del fatto che il team abbia confutato la cosiddetta "versione ufficiale" fornita a suo tempo dopo la conquista della vetta, sostenendo che c'è una ed una sola verità ed è quella fornita all'epoca.
Mi rammarica vedere che certi personaggi (Lacedelli e Compagnoni) arrivino a negare l'evidenza, solo per non ammettere i loro errori.
Perdonatemi, per me sono personaggi di poca coerenza, che non accettano che si dica che la loro conquista è dipesa da altre persone, senza le quali probabilmente non sarebbero mai arrivate in cima.
Non vado oltre, anche se penso che si siano comportati in modo molto sleale, ma per le conseguenze dell'alta quota, probabilmente i due personaggi sragionavano quando hanno avuto certi atteggiamenti.
Mi dispiace.

Alba magica e ricordi da una vetta


Da buon girovago, ho passato moltissime notti a salire montagne, solo per il gusto di vedere una nuova alba, e delle decine e decine che ho visto, ognuna ha qualcosa di particolare... nessuna è uguale alla precedente, anche se il posto da cui le guardi è lo stesso, il panorama è lo stesso, il sole è sempre lo stesso e il cielo è il medesimo... sono le emozioni che ci portiamo dentro che modificano tutto questo...
vi propongo una riflessione fatta qualche annetto fa...

19/08/96

Vi devo confessare una cosa....la bellezza dell'alba... si, è bello il momento in cui il sole spunta all'orizzonte e scalda con i suoi raggi, creando quel momento magico e fantastici giochi di luce...., ma la vera magia è l'attesa, l'aspettare il momento magico, osservando tutto l'universo attorno.... il silenzio, il vento, la terra...., i piccoli insetti....Te stesso....e come disse qualcuno: " nella condivisione di tutto....sei comunque solo tu a provare quelle sensazioni, che puoi descrivere, agli altri, ma non fargliele provare nella stessa maniera.

Bi 96

12/06/2008
è bello a distanza di anni rileggere questi piccoli pensieri e sentirli ancora vivi dentro, come se i fatti descritti fossero accaduti ieri... ma sono passati 12 anni...

Bi



Serenità interiore


Tutto comincia con la “serenità interiore”

28/5/2004

Questi giorni sono contraddistinti dalla fretta, dalla frenesia incessante, dalla continua ricerca di tutto…

Ci sono stati molti periodi…l’ultimo in particolare, che per motivi ormai noti, mi hanno tenuto lontano fisicamente dalle mie montagne, da quella spasmodica ricerca del vento, dal profumo inebriante di neve e freddo…

Quei giorni in cui ero costretto a zoppicare, cercando a stento di svolgere i gesti quotidiani senza aggravare ulteriormente la situazione…inseguendo giorno dopo giorno quella forma fisica che mi riavvicinasse alla completa guarigione.

Ormai i miei gesti sono fluidi e scorrevoli, ma le grandi montagne sono ancora in attesa…
Lo spirito ci scorrazza da sempre, non si è mai ritirato un momento, ogni istante con la mente sono sulle pendici di qualche montagna, intento a folleggiare con gesti armonici su qualche parete o a dilettarmi in passeggiate sulla cima innevata...

Il mio animo è in subbuglio…una sorte di frenetica impazienza scalpita dentro di me…Tante Troppe sono le preoccupazioni che affollano la mia vita quotidiana… …e molto spesso vorrei poter gestire il mio tempo in modo differente, più libero da altri impegni, poter folleggiare, organizzare, partire…

Con questa continua frenesia di correre dietro alle cose, molto spesso irraggiungibili in quel momento, perché impegnato a farne altre altrettanto importanti e belle, perdo il gusto del bello, del momento, non mi godo l’attimo, non riesco a gioire per la cosa che mi sta accadendo ora…pensando invece alla probabile vetta mancata domani…

Pensateci…, quante cose ci capitano giornalmente e tutto ci scorre addosso…come l’acqua su una superficie impermeabile, passa e va… nulla penetra all’interno di noi…restiamo in attesa di chissà che cosa…di chissà quale evento, e magari quando quello che tanto ansiosamente abbiamo bramato che accadesse, si avvererà… il nostro spirito, sarà già lontano, già volto al prossimo obbiettivo, e non godremo neppure per un attimo di quella gioia, di quella felicità, di quella serenità che dovrebbe essere naturale per questa infinita attesa…

La fortuna grande è avere vicino persone che ci riportano ad aprire gli occhi su questo, ci ricordano quali sono le vere essenze della vita, quali sono i valori che ci lasciano vivere e ci riportano in uno stato di serenità interiore, di calma interiore, il vivere ogni momento per quello che è.

Quando tu sei padrone del tuo tempo, quando sei tu a stabilire il ritmo delle tue attività, e non le attività che scandiscono il tuo ritmo.

Una ventata di sapore, sapore di vita vissuta intensamente, e non di acqua che scorre veloce senza dissetare la terra su cui passa.

Questo non significa sedersi in panciolle a guardare le cose, ma significa vivete ed assaporate le cose che fate, per il gusto di farle, e non pensate a quello che state perdendo mentre fate quello che state facendo.

Sarete più sereni e affronterete meglio il resto.

buon tutto Bi

Il silenzio del vento (jon Krakauer)

Se avete già letto la mia opinione su "Aria Sottile" sempre di Jon Krakauer, sapete come la penso in relazione a questo giornalista/alpinista...
altrimenti per non dilungarmi e risultare prolisso ve la risparmio, e se volete potete accomodarvi a leggerla, non dimenticando di leggere anche "Everest 1996 storia di un Salvataggio impossibile" di Bukreev.

Il silenzio nel vento è una raccolta di racconti dell'autore e di altri alpinisti, che hanno affrontato la montagna con uno spirito particolare, l'autore non vuole analizzare tanto l'impresa quanto questo spirito che spinge le persone, gli alpinisti appunto, verso le montagne e i loro pericoli, e nonostante tutto ad affrontarli con sempre maggiore accanimento, questo sentimento che infinitamente spinge questi individui a misurarsi con se stessi e la montanga che hanno davanti, ben consapevoli del pericolo e della posta in gioco.... LA VITA.

I racconti sono spaziano da esperienze sulle Alpi, con la nord dell'Eiger, per passare alle vette Imalajane, all'Everest, al K2, alle vette dell'Alaska, della Patagonia con il Cerro Torre, e ad altre emozionanti avventure.

La lettura del libro di Krakauer risulta essere scorrevole, in effetti Jon prima di essere alpinista è un brillante giornalista che scrive per le più importanti riviste americane.

Il lettore ne resta affascinato dallo scorrere delle parole che lo immedesimano nel racconto , quasi come se fosse li a vedere quello che sta accadendo e senta veramente il freddo del vento che soffia sulla pelle e ne senta veramente i brividi...

Nonostante tutta la bellezza del libro e delle grandi emozioni che riesce a suscitare, io non riesco a leggere i libri di Krakauer in modo obbiettivo, dopo la questione di "Aria sottile", mi sento tradito, il falsare la verità solo per il successo personale e il profitto a scapito di altre persone chedo che sia la cosa più ignobile per qualunque essere umano.
Per me resta in fondo alla scala di ogni valore.
Anche nella lotta, ritengo che la lealtà sia uno dei principi fondamentali, non accetto scorrettezze e colpi bassi.

scusate per lo sfogo, opinione personale, il libro è e resta bello da leggere e per capire i sentimenti e le passioni non sempre da fuori di testa che regolano un modo strano come quello dell'alpinismo che per molti è popolato da personaggi abbastanza scriteriati.

Vie Ferrate - consigli per l'uso

Vie Ferrate

Ciao, prendendo spunto da una recente indagine sulle vie ferrate volevo solleticarvi il palato con alcune notizie, non proprio positive.
Molti di voi, chi non frequenta la montagna forse non è direttamente interessato, ma forse questa informazione potrebbe risultare utile per valutare alcune situazioni o esperienze.

Le vie Ferrate, di per sè apparentemente, ma molto erroneamente sono considerate più facili di un'arrampicata vera su roccia con le metodologie tradizionali.

Erroneamente, perchè se consideriamo i fattori in gioco, si può ben presto valutare che i rischi che si corrono, molte volte senza rendersene conto sono grandissimi.

La cosa fondamentale quando si va in montagna è valutare il margine di sicurezza, certo il rischio esiste sempre, ma se il margine supera di molto le vostre capacità o esperienza sul campo, oppure la situazione è decisamente avversa ed il rischio aumenta esponenzialmente man mano che proseguite capite che l'azzardo ed il pericolo è sempre più forte e prossimo sempre più all'incidente; le cui conseguenze possono non essere banali, anzi molte volte in caso di caduta si rischia di farsi più male in ferrata che su una via classica.
Le motivazioni sono dovute proprio alla morfologia di queste vie, quasi sempre, nella maggioranza dei casi non propriamente verticali, per cui una ipotetica caduta vi vedrà interessati a picchiare contro la roccia, mentre in parete molte volte si cade appesi nel vuoto, e quindi il contatto con superfici altamente dure e taglienti è più rado, comunque in entrambi i casi occorre avere sempre esperienza.
Difficilmente le cadute da una ferrata sono letali, ma occorre comunque avere tutte le precauzioni del caso e non dare per scontato alcuni fattori determinanti.

Le forze in gioco sono enormi, nonostante non sembri così…

Per esempio l'esperienza mi a portato ad arrampicare con persone che per certi versi pur essendo alpinisti con una certa esperienza si fidavano un pochino troppo delle loro capacità e non consideravano l'errore, che ricordo è SEMPRE POSSIBILE anche se siete i migliori alpinisti sulla terra (vedi caso emblematico di Reinold Messner quando ha scalato il muretto di casa sua e si è fracassato cadendo…).
I DISSIPATORI, quegli stani aggeggi che attutiscono il grado di sforzo da parte della corda quando cadete e alleggeriscono il carico sulla stessa diminuendo la probabilità di rottura, per il troppo peso.
Il vostro peso in caduta libera per solo 5 metri, distanza più o meno standard tra un piantone e l'altro nelle vie ferrate, diventa spaventosamente alto in termini di peso d'impatto sulla corda!!!
Tale per cui se non ci fosse il dissipatore la corda potrebbe anche rompersi.
Inoltre vorrei portare la vostra attenzione su un particolare che a molti sfugge, ma se siete un pochino conoscitori delle realtà di cui stiamo parlando credo che mi possiate dare ragione (spero…)
Le vie ferrate, tralasciando le scalette in alcuni punti, e le funi di cui parleremo dopo, spesso sono fatte con ferri senza protezioni in punta, conficcati nella roccia per facilitare la salita in punti particolarmente ripidi, provate a pensare cosa potrebbe succedere se la vostra caduta vi portasse su uno di quegli spuntoni… non proseguo per ovvie considerazioni in merito.

In un caso a parte andrebbe considerata la tipologia di attacchi dei cavi d'acciaio della sicurezza delle vie ferrate, non ci avevo mai fatto caso, il cavo normalmente è fissato nella roccia ogni 5 metri da un piantone in ferro che imbriglia il cavo e quindi in caso di caduta ferma i moschettoni (ho detto I moschettoni non il moschettone, che DOVREBBERO SEMPRE ESSERE 2…) del malcapitato, ma in che modo li ferma?
In un'arrampicata classica senza cavo, solo con la corda gli slit o i friend, o altre tipologie di ancoraggio non fisse, l'anello a cui è collegato il moschettone del rinvio è posizionato in modo da far lavorare il moschettone quasi sempre in modo canonico, longitudinalmente, dove il moschettone ha una maggiore resistenza alla trazione.

In una caduta in ferrata, se il cavo non è posto in modo corretto, per esempio in modo che il fittone sia piantato in modo da lasciare che il cavo faccia una specie di asola che raccoglie il moschettone in caso di caduta, senza che questo arrivi al fittone, ponendo per esempio l'ancoraggio a monte con un'asola e poi lasciando che il cavo scenda di una decina di centimetri così da fare una specie di amo sul cavo, in questo caso il moschettone si comporterebbe in modo canonico e la caduta potrebbe essere considerata sicura, a meno di altri fattori che possono condizionare la caduta, come spunto ni di roccia, pioli che facilitano la salita, o altri ostacoli naturali o artificiali.
In caso contrario il moschettone potrebbe fermarsi direttamente sul piantone del cavo che lo ancora ala roccia con un conseguente lavoro trasversale per cui i moschettoni NON sono Proprio adatti a lavorare.

Sul vostro moschettone, o se prendete un moschettone da arrampicata classico, non quelli da supermercato per tenere le chiavi, vedrete che oltre alla marca all'anno di fabbricazione ci sono almeno 2 disegnini che indicano le forze per cui il moschettone è stato testato, una longitudinalmente, per la parte più lunga, l'altra per la parte più corta, e l'altra ancora per la parte lunga con l'astina aperta, l'unica cosa per cui non è testato è la forza in torsione, lavoro che si troverebbe a fare in caso di caduta fermata direttamente sul piantone del cavo della ferrata.

Spero di essere stato chiaro nell'esplicazione di questa definizione.

Con questo non dico che non dovete andare in montagna, ANZI, vi sprono a farlo, ma vi dico andateci con le dovute cautele e precauzioni.
La vita è bella e vale veramente la pena di essere vissuta intensamente, senza andarsi a cercare problemi o incidenti per la poca esperienza o superficialità nell'affrontare le situazioni.

Partite pronti al peggio, vedrete che non potrà andare male, per lo meno sarete pronti alle avversità.

Non sottovalutate mai le vostre condizioni psico fisiche.

Buona vita a tutti.

Brilla il Ghiaccio sulla via.

16/01/05
Brilla il ghiaccio sulla via…

Sono quasi le 7,00 di una domenica mattina, la sveglia è già suonata, il the sta bollendo sul fuoco, Lucia poltrisce ancora 5 minuti nel letto caldo, rendendosi sempre più conto che si è affiancata ad un pazzo, che nemmeno alla domenica mattina riesce a darsi pace, ha bisogno di sentire il freddo pungente che ti penetra.
Dopo poco ci troviamo in cucina, a fare colazione, apriamo la finestra per vedere il tempo: una ventata freddino entra, mentre una leggera pioggerellina mista a nebbia contorna il paesaggio.
I preparativi volgono al termine, gli zaini sono pronti, carichiamo tutto sul “transatlantico” e procediamo verso la meta.
Stamattina volevamo fare qualcosa di leggero e poco impegnativo, giusto per sgranchirci le gambette, in previsione di qualcosa di più tosto sulla neve a breve, in data da destinarsi.
Saliamo il Monte Tobbio sopra l’abitato di Voltaggio, in provincia di Alessandria, ai confini con la Liguria.
La temperatura esterna è intorno ai -2 gradi alla partenza, e direi che si mantiene costante per tutto il viaggio.
Arrivati al valico degli Eremiti, lasciata la macchina ci incamminiamo per il sentiero, e ben presto ci rendiamo conto che la salita non sarà assolutamente facile, un leggerissimo, insidioso e tenace ghiaccio si stende su tutto, compreso il fondo del sentiero, che è fatto di pietroni, con pochissima terra, per cui la superficie calpestabile è decisamente instabile e viscida,senza ramponi, non prevedevamo neve (e comunque li utilizziamo solo in salite ostiche), solo con i bastoncini dobbiamo cercare di restare in piedi.
Una leggera umidità si condensa sui nostri abiti, la temperatura alla partenza fa abbastanza tremare, ma ci si scalderà lungo il tragitto.
Dopo i primi timidi passi sul vetrato, si prende confidenza con il fondo e si procede abbastanza speditamente; salendo lo spettacolo diventa estasiante, una gelata generale, tutti gli alberi, arbusti, erbette e tutto ciò che è risulta essere scoperto e in balia degli agenti atmosferici risulta essere coperto da uno strato bianco di ghiaccio e galaverna, Fantasticamente fenomenale, naturalmente visto il tempo uggioso e il pochissimo spazio nello zaino la macchina fotografica è restata in macchina… sob.
Non fa più tanto freddo, ma il fondo resta gelato, anzi, occorre stare molto attenti per non ritrovarsi in fondo al sentiero.
Incrociamo tre ragazzi che stanno scendendo e la paura è disegnata sui loro volti alla mia domanda “com’è la situazione lassù?” e mi rispondono:”Come qui, anzi peggio, non si sta in piedi.”, bene, la vetta non ci interessa più di tanto, visto che comunque non si vedrebbe nulla, una nebbia fitta ci permette di vedere si è no 10 metri davanti al naso, arriveremo fino al punto che ci permette di salire, poi vediamo di coordinare la discesa., che sarà la parte in cui dovremo avere maggiore attenzione.
Arriviamo al colle dove ad attenderci c’è la segnaletica completamente coperta da uno spesso strato di ghiaccio. Al punto che non si legge nulla. Il vento qui è gelido e non ci lascia tanto tempo per elucubrare sui dettagli, si decide di scendere a valle, visto anche il tempo che sta peggiorando, ma la lo spettacolo è fantastico. Tutto bianco, tra nebbia e gelo è veramente suggestivo.
Fortunatamente solo un voletto a testa ci riporta a valle.
Sono passate 3 ore, volate. Sembrano 10 minuti che siamo partiti….
Bella salita.
Ve la consiglio.

Poalcchi: Alpinisti fortissimi

Lo sapevate che nella storia delle grandi salite Imalayane i polacchi hanno avuto un ruolo determinante?
Si, proprio così questo popolo di alpinisti che vivono in una terra, la Polonia, dove non ci sono montagne e le poche si elevano solo di poco oltre i 3000 metri, il suo territorio è prettamente collinare, e le montagne sono solo in zone molto limitate; ma il clima estremamente rigido durante l’inverno fa si che gli alpinisti si possano allenare adeguatamente al freddo delle grandi Montagne.

Primo fra tutti spicca la figura del leggendario Jerzy Kukuczka che in soli 8 anni ha raggiunto la cima delle 14 vette oltre gli ‘8000’ quasi tutti con vie nuove e invernali, attivando secondo (1987), dopo il nostro connazionale Reinold Messner che per salirli tutit ha impiegato ben 16 anni (1986).
Pensate che quando Jerzy Kukuczka andò per conquistare la vetta del … al campo base 5100 metri c’erano venticinque gradi sotto lo zero, figuratevi la temperatura sulla vetta….
A lui sono seguiti una lunga serie di personaggi molto forti, che sempre in condizioni estreme hanno raggiunto la vetta delle più alte montagne del mondo durante l’inverno.
Questo popolo di alpinisti che durante l’anno tra una vetta e l’altra facevano lavori molto umili e malsani (es. Jerzy Kukuczka puliva le ciminiere delle fabbriche, fumava una sigaretta dopo l’altra e quando è riuscito finalmente a diventare famoso perché ha raggiunto le 14 vette ‘8000’ contento del fatto si è comperato una Fiat 126 NUOVA! Pensate quali erano le sue aspirazioni! Rapportate alle nostre…), non erano alpinisti di professione, probabilmente ora le cose sono cambiate e chi pratica alpinismo ad alto livello lo fa di professione, ma anche il regime politico ed economico della Polonia ha subito notevoli cambiamenti.

****
Le prime spedizioni in terra extrapolacca si sono svolte sulle nostre Alpi, sul Monte Bianco all’inizio del secolo scorso (1818) e successivamente nel 1905 la conquista della vetta più alta dei monti Tatra il monte Gerlach in Invernale.

Le prime spedizioni del gruppo polacco alle vette Imalayane, dopo la formazione del AKAR (primo gruppo polacco per l’alta quota) per merito di Karpinski, sono iniziate dalle vette minori nel 1939 con il Nanda Devi vetta di 7474 metri, il 2 Luglio ne raggiungono la vetta, sia per mancanza di fondi sia perché le grandi vette erano prerogativa degli stati principali che si accaparravano tutti i permessi che i governi nepalesi, cinesi, afgani concedevano.
La seconda guerra mondiale e la guerra fredda negli anni successivi hanno fatto praticamente cessare ogni attività alpinistica nella zona.

Il con l’avvento degli anni ’80 e il boom del governo che aveva deciso di stanziare fondi per le spedizioni imalayane sono emersi i grandissimi alpinisti che ancora oggi sono in attività come Krzystztof Wielicki protagonista della prima salita all’Everest durante la stagione Invernale 17 Febbraio 1980 insieme a Lazlek Cichy, e purtroppo le mitiche figure che sono scomparse su quelle vette come Jerzy Kukuczka che è sparito dalla parete sud del Lhotse nel 1989 (se vi interessano i particolari, è partito al mattino presto per la vetta, ma per questioni di peso si era portato solo una corda da 9 mm, in un passaggio particolarmente difficile è caduto su quasi tutta la lunghezza della corda che non ha retto il peso, essendo di piccolo diametro lasciandolo cadere nel vuoto, la parete sud del Lhotse era all’epoca ancora un problema da risolvere, una parete di difficoltà ancora non superate), dopo aver concluso da poco (1987) la salita dei 14 colossi della terra; e la mitica Wanda Rutkiewicz che sparì sulla parete del Kanchenjunga a 8300 metri, a meno di 300 metri dalla vetta, dopo aver scalato 8/9 ‘8000’.

Imprese da ricordare:

Prime invernali

Everest (8850 m.) 1980 - Lazlek Cichy, Krzystztof Wielicki.
Api (7132 m.) 1983 – Piatkowski.
Manaslu (8156 m.) 1984 – Maciej Berbeka e Ryszard Gajewski.
Dhaulagiri (8167 m.) 1985 - Jerzy Kukuczka e Andrezj Czok.
Cho Oyu (8201 m.) 1985 - Jerzy Kukuczka, Ziga Heinrich, Maciej Berbera e Pawlikowski, prima via nuova salita d’inverno.
Kangchenjunga (8586 m.) 1986 - Krzystztof Wielicki e Jerzy Kukuczka
Annapurna (8091 m.) 1987 - Jerzy Kukuczka e Artur Hajzer
Lhotse (8516 m.) 1988 - Krzystztof Wielicki.

I dati delle salite invernali sono stati tratti dallo Scarpone Edito dal CAI.

a presto. Bi

Contro vento. La mia avventura più grande (Ambrogio Fogar)

Ambrogio Fogar,
un testimonial d'eccezione per chi ha qualche anno sulle spalle…
Un personaggio discusso per certe sue imprese, qualcuno nel tempo ha messo in dubbio alcune sue avventure, ma di certo un uomo che dell'avventura estrema aveva fatto uno stile di vita, e la vita gli aveva riservato grandi soddisfazioni, come nel 1973 lo aveva visto coronare il sogno del giro del mondo in solitaria controvento.
Un uomo eccezionale, le sue avventure spaziavano dalla montagna, al mare, ai più desolati deserti africani ed asiatici.
Una vita spesa a pieno e con il programma Jonathan, di cui è stato il conduttore per diversi anni, a documentare le sue avvuture in tutto il mondo, fino al giorno in cui il destino ha messo una pietra sul suo cammino il suo fuoristrada si è rovesciato durante una tappa della Parigi - Pechino e Ambrogio si è rotto la spina dorsale.
Da tredici lunghissimi anni è paralizzato dal collo in giù, su una sedia a rotelle; dipende dagli altri in tutto e per tutto.
Nonostante sia sparito dalla vita pubblica i suoi amici e fans non lo hanno dimenticato, continuamente gli scrivono, lo esortano a non mollare.
Su questa esperienza di lunga malattia che lo ha distrutto fisicamente, ha costruito una nuova vita, lui che era abituato a non stare mai nello stesso posto per più di qualche ora, lui che aveva vissuto le grandi distese artiche per raggiungere il polo nord con il fedele cane Armaduk, le grandi onde oceaniche durante le sue attraversate in solitaria, ora è costretto alla più completa immobilità, non può nemmeno alzare un braccio per grattarsi il naso.
Il libro è composto da una serie di piccole frasi che iniziano il capitolo, frasi di ammiratori ed amici che gli hanno scritto nel tempo, e lui pazientemente ha raccolto e conservato, alla frase iniziale segue un suo commento, distaccato, sereno, una riflessione vista con gli occhi di un Ambrogio Fogar diverso, rinato in una nuova dimensione, dove non è più necessario muoversi, consigli di vita, pacate considerazioni con il passato.
Il suo passato lo ha accantonato, anche se non ha perso la speranza di poter ritornare a muoversi, anche solo in parte, per lui sarebbe un grandissimo successo, sarebbe il coronamento di un grande sogno che da tredici lunghissimi anni sta aspettando che si avveri.
Una storia vera raccontata da un protagonista d'eccezione, normalmente i disabili vengono messi da parte, Ambrogio ci porta la testimonianza di come si possa essere sereni anche in quelle condizioni.
Racconta di avere speranze, pochissimi rimpianti, rifarebbe le stesse esperienze nel medesimo modo in cui le ha vissute;
non incolpa nessuno per l'accaduto, nemmeno il destino, che per pochissimi centimetri ha fatto la differenza tra lew vita e la morte o la paralisi totale nel suo caso.
Un buon libro, scritto dettando i suoi pensieri, lui personalmente non può tenere nemmeno la penna in mano…
Un ultimo saggio di come si possa vivere e sperare in una totale immobilità, come non si deve mai perdere la speranza, anche quando tutto sembra essere perduto.
Ricorda i suoi settanta giorni alla deriva su una zattera con l'amico in balia dell'oceano quando un grosso cetaceo ha aperto la sua barca in due e in pochissimi minuti il Surprise si è inabissato tra i flutti dell'oceano, sparendo per sempre; alla fine deperiti e ormai allo stremo delle forse fisiche furono recuperati da una nave di passaggio; racconta che anche in quell'occasione nonostante gli stenti fisici non avevano mai perso la speranza e la serenità di una continuazione in qualche modo.
La sua sofferenza è ormai terminata, Ambrogio Forgar ci ha lasciato alcuni anni fa.
Resta la sua immensa ed importantissima testimonianza e vita vissuta intensamente in qualsiasi condizione.
Grazie Ambrogio.

ve ne consiglio vivamente la lettura.

La marcia dei Pinguini (Luc Jacquet)

Ennesimo capolavoro di Luc Jacquet, dopo MIcrocosmo e il popolo migratore il regista si è cimentato nel racconto della vita dei pinguini, il miracolo che compiono ogni anno per dare alla luce i loro piccoli...

Anche questa volta le riprese sul campo devono essere state lunghe ed estenuanti, visto che l'abitat del pinguino è piuttosto freddino, nel caso specifico il pinguino imperatore, il più grande dei pinguini è solo il POLO SUD.

L'invewrno al polo sud raggiunge temperature traordinariamente basse... -60 gradi centigradi .tanto per gradire... alla Base Scott sono statiraggiunti qualche anno fa, i -89,6 Gradi...

Bene, torniamo al film, al documentario più che altro, una storia, raccontata dagli stessi protagonisti, vestiti da pinguini in carne e ossa... che senza orologio, nè altri marchingegni ad un certo punto dell'anno dalla costa sull'oceano, dove il pesce ed il cibo abbonda si spostano verso l'interno, e cammina cammina... stricia, rotola, scivola per ventigiorni... si uniscono tutti in un luogo protetto dalle alte montagne intorno... dove i predatori abituali dei pinguini non arrivano solitamente.

Qui, inizia il ciclo della vita, i pinguini maschi, in minoranza corteggiano le femmine, che per poter diventare madri ed accaparrarsi un maschio se lo contendono anche con combattimenti, ed il maschio attende... (mica stupido!!!)

Dopo la fase di scelta, c'è la fase del corteggiamento...

L'accoppiamento vero e proprio...

a cui segue un periodo di gestazione, ed infine le femmine fecondate depositano un uovo...

Conseiderate che la temperatura anche se fa caldo è sempre intorno ai -40 gradi centigradi, per cui non è che possono depositarlo e poi guardarlo... occorre proteggerlo dal freddo, e così la femmina una volta deposto l'uovo lo fa salire sulle zampe e lo tiene al caldo, poi... in preda alla famen e agli stenti, visto che sono 3 mesi che non mangia... passa l'uovo sulle zampe del maschio che lo terrà in caldo fino al nuovo arrivo della femmina... circa 2 mesi dopo... naturamente senza mangiare.
La femmina ripercorre la strada inversa fino all'oceano, per rifornirsi e riprendere le forze.
Il maschio attende con l'uovo sulle zampe che si schiuda e che la sua compagna torni...

Intanto l'inverno si avvicina... ed il freddo con le bufere con lui...
Finalmente i piccoli nascono, ma sono indifesi contro tutto in primis contro il freddo... non hanno ancora sufficiente strato protettivo per poter scorrazzare fuori dal caldo ventre del padre, per cui soggiorna al caldo facendo spuntare solo la testa...
Ma la fame lo attanaglia e li di cibo a quelle temperature non se ne parla neppure... il maschio rigurgita qualcosa rimasto nello stomaco (sono passati 4 mesi dall'ultima volta che ha mangiato!!! dove tiene le riserve?) e lo notre per quanto possibile...

A breve dovrebbe tornare la mamma pensa... SPERA più che altro...

Qualche piccolo non ce la fa.

Le femmine dopo essersi rinfocillat eper bene ripercoorono la strada iniziale e raggiungono il gruppo ormai cresciuto di numero, e prendono in consegna il piccolo, se ancora vivo.
(incredibile, lo riconoscono nel marasma di migliaia di pinguini che pigolano!!!)
Inizia la "MARCIA DEI DISPERATI" i maschi dopo quasi 5 mensi senza mangiare cercano di ripercorrere i 20 giorni di viaggio che li separano dall'ocano unica fonte di cibo ormai anche lui sotto uno spesso strato di ghiaccio.

Tanti pinguini periscono nel viaggio.

Fortunatamente tanti ce la fanno, mangiano e ritornano dalla femmina e dalla prole...

Li ritrovano, poi appena i piccoli sono autosufficienti, la stagione è cambiata, ormai è primavera, l'inverno è finito e si può tornare sulla costa a giocare e pescare felici per qualche mese... poi tutto ricomincerà da capo...
VITA DA PINGUINI... con le loro zampette corte percorrono 4 volte il tragitto per donare la vita... sempre nello stesso posto, dall'inizio dei tempi... probabilment efino alla fine dei tempi....
Buon Viaggio...

Primi sull'Everest (Tenzing Norgay)

Dopo il libro del figlio, tocca al padre...

Il vero originale Tenzing Norgay, e dalla lettura del libro si può scoprire tra le altre cose che questo non è propriamente il suo vero nome.

Il libro si apre con una interessante prefazione in cui si ripercorrono in un baleno gli oltre 50 anni dalla prima salita e quasi cento dagli esordi delle prime esplorazioni al tentativo del 1924 che ancora oggi non si sa se Mallory ed irvine arrivarono sulla vetta...

Una descrizione di come le spedizioni commerciali hanno ridotto la zona dei campi base e dei campi avanzati sui fianchi della montagna, una spazzatura a cielo aperto, l'ammasso di materiale inutilizzato lasciato dalle spedizioni per evitare pesi inutili nella discesa dopo la salita alla vetta.
Una spiegazione di come le spedizioni commerciali hanno pubblicizzato la montagna quasi a renderla accessbile a tutti, tralasciando il piccolo dettaglio dei pericoli sempre in agguato a quelle quote, ne sono testimoni gli oltre 170 cadaveri che ancora oggi costellano le vie normali alla vetta.

La spasmodica "ricerca del vano", una corsa alla salita della vetta più alta del mondo, non importa se si è allenati, basta avere 70.000 dollari da spendere...

Un libro interessante non tanto per l'argomento, ormai noto al mondo intero, quando piuttosto dal punto di vista e dal racconto di un protagonista d'eccezione quale Tenzing Norgay, chiamiamolo così per semplicità, ma vi invito a leggere il libro per scoprire come questo nome sia arrivato ad essere tale, essendo la lingua sherpa una lingua orale, non scritta, risulta difficile riuscire a tramandarla sempre in modo corretto, e preciso, pertanto il suo nome si è evoluto nel tempo, fino a diventare quello che attualmente il mondo conosce TENZING NORGAY.
Una sorta di racconto dettagliato senza polemiche ne fronzoli, un racconto pulito dei fatti avvenuti sulla montagna più alta del mondo.

Tenzing Norgay è analfabeta, ha ottenuto un enorme successo per la sua impresa e tutto il popolo sherpa ne ha giovato per l'immagine di riflesso agli occhi del mondo cosiddetto occidentale e non.

Nonostante tutto Tenzing Norgay riesce a parlare più o meno correntemente una serie impressionante di lingue e dialetti, visto che nelle zone alle pendici delle grandi montagne imalayane basta spostarsi di poco che cambia la lingua parlata; ed avendo partecipato a numerose spedizioni occidentali, padroneggia bene l'inglese, e farfuglia tedesco, Francese ed italiano.

Un libo rimportante per l'autore e per il resto dei lettori, perchè si ha la possibilità di leggere qualcosa di unico nel suo genere.
Il racconto della prima salita della montagna più alta del mondo, i tentativi precedenti, le spedizioni a cui ha partecipato come portatore e poi come capo guida sherpa, ed infine facente parte della seconda squadra di punta raggiunse il 30 maggio 1953 la vetta della montagna le cui pendici erano stimate in 8848 metri, oggi superano i 8850 metri di altezza ed è in continua crescita.

Il pensiero espresso da un uomo semplice che si rende conto di aver avuto molto dalla vita e dalla montagna, con doti eccezionali di resistenza e acclimatazione alle altissime quote, nonostante tutto il suo rammarico resta il fatto di essere analfabeta.

Una bella lettura, non solo pe ri dati tecnici, quanto per il contenuto umano e spirituale dell'autore nei confronti della montagna, alla quale il libro è dedicato, ed al suo popolo che ha sofferto tantissimo negli anni sacrificando molti dei suoi figli alla montagna, periti sotto le valanghe e precipitati nei crepacci mentre svolgevano il loro compito di portatori e guide per le spedizioni commerciali che dal 1953 hanno letteralmente colonizzato la montagna.

Una lettura verament einteressante, ve la cosiglio. anche se non siete propriamente appassionati di alta montagna.

In terre Lontane (Walter Bonatti)

Walter Bonatti, personaggio particolarmente eclettico, Alpinista sublime, ha effettuato solitarie eccezionali e ancor oggi poco o addirittura mai ripetute, in condizioni particolarmente critiche, in invernale; ha partecipato alla spedizione italiana alla conquista del K2 del 31 Luglio 1954, in cui ha avuto un ruolo fondamentale, riconosciuto solo quest’anno in occasione dei festeggiamenti del cinquantenario della salita da parte di Lacedelli e Compagnoni.

Personaggio che dopo la delusione del 1954, ha effettuato alcune salite mitiche, a tal proposito vi invito a leggere la mia opinione sul fatto del K2 “la conquista del K2”; dopodichè si è dedicato ad altre attività ottenendo notevoli risultati anche come esploratore, avventuriero e scopritore di nuovi mondi, subacqueo, anche qui sostenendo sempre prove particolarmente difficili, vivendo in condizioni essenziali per la sopravvivenza in quei luoghi.
Personaggio Vero ed autentico, che vuole vivere le esperienze della vita, così come la natura le propone, senza falsità o pressanti artifici della vita moderna.
Vero al punto di cercare di vivere il contatto con la natura e i suoi animali anche i più feroci senza nessuna arma di difesa, solo l’istinto e il buon senso che gli veniva in quel momento.
Personaggio strabiliante, ogni cosa che ha fatto l’ha sempre fatta al meglio, non cercando la gloria o l’impresa.

Ho trovato questo assaggio del libro su internet.

Leggete lo stile e se vi convince io vi consiglio di leggere questo vero ed autentico personaggio, che scrive in un linguaggio chiaro e pulito, raccontando le sue grandi imprese, viste soprattutto dal lato interiore dei sentimenti provati, non tralasciando la descrizione dei luoghi incontrati di rara bellezza.

Indice

7 Vivere d'avventura. Premessa
23 Klondike: sulla via dei cercatori
d'oro (1965)
33 2500 chilometri in canoa, solo (1965)
75 Sull'isola dei grandi orsi kodiak
(1965)
89 Con le tribù masai (1966)
97 Nel mondo dei coccodrilli (1966)
113 Solitario tra bufali e leoni (1966)
141 I varani della preistoria (1968)
153 Io e la tigre, per quaranta giorni
(1968)
181 Krakatoa, sui resti di un cataclisma
(1968)
191 Nel «Centro Rosso» dell'Australia
(1969)
191 Le magiche cupole
198 Attraverso il grande deserto
salato
211 Un paradiso subacqueo (1967-1969)
219 Sulle orme di Melville (1969)
233 L'isola di Robinson Crusoe (1970)
239 Ai confini del mondo (1971)
239 Capo Horn
249 Nei fiordi patagonici
256 Una solitudine di gelo
264 In canotto fino all'oceano
275 Disavventure sull'Aconcagua (1971)
285 Nyiragongo, discesa nell'infemo (1972)
295 Nelle foreste dell'Orinoco (1967 e
1973)
319 Tra i primitivi, appunti di viaggio
(1972 e 1974)
319 Nel mondo dei pigmei
329 Irian Jaya, anno zero
339 Sulle terre alte della Guayana - Auyán
Tepuy (1975)
363 L'Antartide dei miei ricordi (1976)
387 Alle sorgenti del Rio delle Amazzoni
(1967 e 1978)
387 L'Amazzonia in sintesi
393 La sorgente scoperta
400 Lungo il grande tributario

Pagina 7
Vivere d'avventura. Premessa

Posso dire di aver passato gran parte della mia vita a contatto con le più genuine e forti manifestazioni della natura. Nel clima dell'azione, affrontata il più delle volte in solitudine, sempre comunque restando fuori dalla caotica e ottenebrante quotidianità del sociale, ho sentito spesso il bisogno di interrogarmi, di meditare su varie cose. Prima di tutto sull'estremo bisogno che l'uomo ha di ritornare alla propria dimensione di essere umano, essendone uscito in qualche misura, e sulla necessità che tutti abbiamo di assumere un rispettoso, giusto atteggiamento di fronte alla grandezza e unicità della natura. Questo vorrei riuscire a comunicare attraverso il racconto delle mie esperienze.
Quando si è molto giovani capita di non sapere bene chi si è e che cosa si vuole dalla vita. Indubbiamente però noi tutti disponiamo di un misterioso filo conduttore che prima o poi finirà per farci scegliere ciò che per indole è già latente in noi, e servirà a costruire la nostra personalità.
Ero ragazzo e dalla Pianura Padana dove per qualche anno ho vissuto, guardavo la linea azzurrina dei monti lontani sull'orizzonte. E sognavo. Per me quelle cime rappresentavano l'«insormontabile», e tuttavia erano di modesta altezza. Amavo molto starmene per ore intere a fantasticare sulle rive del Po. Là c'erano distese di sabbia e la grande corrente. Nella mia testa ne facevo dei deserti e degli oceani. Quando si è piccoli queste cose sembrano talmente vaste. Abitavo dunque sulla riva emiliana del fiume, e ricordo che per gioco andavo a nuoto con i miei amici sull'altra sponda, quella lombarda, attraverso le difficoltà della grande corrente. Per noi era l'avventura. Seduto su quelle rive sabbiose viaggiavo con il pensiero a cavallo di un pezzo di legno portato dal fiume. Arrivavo così ai mari, all'Est e all'Ovest, e fino agli oceani. Sì, su quelle sabbie sono cresciuto, sognando. Il Po era il mio mare, le sue boscaglie le grandi foreste, e le secche i miei vasti deserti.

Pagina 89
Con le tribù masai (1966)

Gli animali selvaggi mi affascinavano, lo scoprivo ogni giorno di più da quando avevo concluso la mia avventura alaskana. Mi sorprendevo spesso rapito dai ricordi, in cui rivedevo con il pensiero questi incontaminati figli dei vasti orizzonti, signori assoluti dell'immenso Nord, dove in un clima di incanto avevo fatto la loro conoscenza. Infatti il lupo, l'orso, l'alce e il castoro, con il loro mite e accattivante comportamento, avevano fatto sì che io potessi cogliere alcuni preziosi momenti colmi dei loro antichi segreti. Fu da allora che si localizzò in me il come e il perché mi sarei ancora avvicinato in futuro ad altre specie selvagge sparse sulla Terra. L'avrei fatto se non proprio allo scopo di giungere a comunicare con il mondo animale, almeno a quello di riuscire a evitare con esso un fraintendimento. Ecco lo spirito con cui mi accingo, nell'aprile 1966, a entrare nelle foreste e nelle savane dell'Africa orientale, rimaste fino allora il dominio delle grandi specie selvagge.
Come prima esperienza mi ero aggirato per un paio di settimane in carovana con i kikuyu nella selva ancora intatta del Meru: una tra le più fitte e tenebrose della Tanzania. Ero poi passato nelle sterminate praterie delle tribù masai, sugli altipiani di Murja dove, accolto in un loro umile villaggio fatto di sterco di mucca, avevo passato un certo tempo. Per non fare torto a Kone Ole Sendéo, il capotribù che mi ospitava, avevo finito per nutrirmi del loro stesso cibo a base di latte fermentato nel sangue bovino. Ma devo aggiungere che ciò avvenne con non facile adattamento per me.
Pagina 113
Solitario tra bufali e leoni (1966)
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L'alba è ancora lontana, forse un'ora, quando nella notte torna a risuonare una serie di vigorosi ruggiti. Sono così potenti e vicini da dare l'impressione, e Dio sa se non è vero, che il terreno vibri sotto di me. Ricado nell'angoscia e mi rannicchio ancor più, fino a volermi annullare. Poi... un silenzio improvviso, cupo e penetrante. È il silenzio che precede l'inatteso, un silenzio assoluto, totale, gravido di minaccia. Ogni cellula del mio corpo infatti la avverte. Fisso l'oscurità di fronte a me, ma non vedo nulla. Dall'avvallamento qui vicino giunge adesso un lieve fruscio e il tonfo sordo di una pietra rovesciata. Ecco, mi dico, il leone viene nella mia direzione. Conosco il valore dell'immobilità da queste parti, perciò non compio il minimo movimento. Rallento anche il respiro, fino a trattenerlo in alcuni momenti nello sforzo di percepire anche il più tenue rumore, la più piccola mossa. Ma non succede nulla di nulla. Mi domando per quanto tempo ancora potrò reggere a questa tensione. Intanto il fuoco si è ridotto un'altra volta a mucchio di cenere con un cuore purpureo di braci.
Passa altro tempo in cui resto inerte, oso appena respirare. Poi a un tratto, dal lato del fiume, ecco un rauco e sordo brontolio, sempre più nitido. A questo punto ho uno scatto, e getto convulsamente l'ultimo grosso ramo. sulla brace. Ma non prende fuoco. Il brontolio è sempre più vicino e io mi faccio sempre più stretto intorno alle braci. Una serie di moderati ringhi e grugniti ora lasciano intendere di provenire da gole differenti. Invano scruto ancora il buio, e lo interrogo. Comprendo di trovarmi di fronte a un'intera famiglia di leoni, che con quei toni sommessi e gutturali si trasmettono, evidentemente, dei messaggi. I cuccioli frignano, ed è facile decifrarlo, mentre la nenia degli adulti, fatta di brontolii tossicchianti e quasi modulati, è sicuramente rivolta ai piccoli per incitarli a camminare. Trovo allucinante essere finito a bivaccare proprio nel bel mezzo di un branco di leoni in piena attività. Non ci fosse altro spazio attorno... Eppure, a pensarci bene, sarebbe stato facile prevedere quanto accade: in tutta la zona solo qui esiste una pozza per abbeverarsi. Quindi non poteva esserci miglior campo di caccia.
Fermo in ginocchio davanti al fuoco spento - non avevo più sopportato l'immobilità passiva - capto nel buio ogni rumore che possa rivelare quanto sta accadendo qui attorno. Percepisco prima di tutto la distanza reale che esiste fra me e i leoni passati ormai al di qua del Grumeti. Intuisco poi la direzione del loro spostamento in gruppo. Ecco, ora sono vicinissimi, a qualche decina di metri appena, e stanno dirigendosi verso la palude. Davvero dunque mi ignorano, o quanto meno mi evitano? Cala però un altro silenzio innaturale, rotto di lì a poco dallo schianto di grossi rami spezzati cui fa seguito uno scalpitio pesante. È certamente la fuga di un giovane bufalo, o qualcosa del genere. Nuovo assoluto silenzio, e nuova fuga precipitosa di più animali assieme. Stavolta mi sfiora un'ombra impazzita e fulminea: un'antilope. Segue l'ansimare profondo e cavernoso del leone, che deve aver mancato la preda. L'idea di avere un leone qui di fronte, ma senza poterlo vedere, mentre i suoi occhi gialli stanno forse osservandomi come alla luce del giorno, ebbene mi dà le vertigini. L'incubo si attenua soltanto quando riprende il brontolio di prima che si allontana verso la pozza di acqua putrida.
E finalmente si sciolgono le tenebre di quella pazza, snervante notte. Ritorna la luce. Adesso i miei occhi valgono quelli del leone e della iena.
Sono le 6.20 quando mi infilo gli stivali, non prima di averli rovesciati e scossi accuratamente per liberarli da eventuali scorpioni o altri insetti velenosi di vario genere che nella notte potrebbero esservi entrati per rimanere al caldo. Rinuncio a bollire altro liquido, anche perché la pozza che lo fornisce è ormai presidiata dai leoni, e riparto soltanto con quella mezza borraccia di «acqua» risparmiata nella notte. Una iena incrocia il mio cammino serrando tra i denti un grande osso sanguinolento. La seconda giornata di marcia è appena cominciata.
Mi ero allontanato molto dal riarso Grumeti con l'intento di aggirare le alte colline Ngoheo, verso nord; ma ora dovevo assolutamente riavvicinarle perché è solamente là che prima o poi riuscirò a imbattermi in una pozza d'acqua. I letti di questi fiumi diventano infatti via via più impermeabili verso valle, dove aumenta quindi la probabilità che sotto il fondo sabbioso dreni un filo d'acqua.
Sono ancora digiuno, perciò dopo la prima ora di marcia mi concedo una scatoletta di latte condensato. Meglio direi che me la impongo, anche se non ho fame. Così il mio prezioso mezzo litro di acqua subisce di colpo un grande calo.
Qui il paesaggio è sconfinato e di una violenta bellezza. Le fitte boscaglie si succedono ai gialli mari d'erba, e a questi subentrano le steppe ondulate e riarse da cui sale un amaro sapore alcalino. Azzurre montagne lontanissime chiudono l'orizzonte, prima del quale la luce del sole ristagna crudele come sostanza fusa e tremolante.
Avanzo in quel torrido paradiso, riposando di quando in quando all'ombra di acacie spinose, dalla chioma a ombrello e dal tronco maculato. Tutt'intorno si muovono migliaia di animali delle varie specie; ma chi più di tutti si fa udire è una torma di cavallette, che frinisce e mi saltella fra le gambe. L'aria è piena di suoni, strilla una moltitudine di uccelli, tubano i colombi e latrano lontani gli insolenti babbuini. Però, a sconcertare fra tutti sono i folli gnu che galoppano avanti e indietro senza meta apparente. Incolonnati a centinaia, migliaia a volte, si spostano attraverso la savana come un torrente palpitante. A guidarli verso nuovi pascoli è una infallibile bussola biologica. Il breve verso sommesso e gutturale che esce dalle loro gole fa pensare a un coro di monaci tibetani. I predatori invece non si vedono, ma se ne intuisce la presenza in qualche angolo ombroso, ben mimetizzata fra i cespugli. Soltanto qualche iena e sparuti sciacalli, inseparabili briganti, fanno ogni tanto una fuggevole e losca comparsa. Ovunque sul terreno affiorano impronte di ogni tipo e resti di animali, come mute di serpentelli e bianche evacuazioni di ossa digerite; ma vi sono anche scheletri ben ripuliti dalle formiche e ancora altre carcasse: macabri simboli della legge spietata che regola questo angolo di mondo.

La montagna (Mauro Corona)

La montagna
LA MONTAGNA
Chiacchierata con ventun giovani all'osteria "Gallo Cedrone" in una notte di primavera del 2002
Ed. Biblioteca dell'Immagine
Ragazzi, Siamo nuovamente qui a parlare di un personaggio dalle molteplici attività, anche questa volta con questa raccolta ha colpito nel segno.
Si tratta di un cofanetto con 2 cd un libro ed un opuscolo a fumetti per la descrizione del parco delle Alpi friulane, di cui Mauro Corona è il testimonial e collaboratore.
Si, stiamo parlando del Mauro Corona che scrive libri di notevole successo, scolpisce il legno con una particolare vena creativa, arrampica al altissimo livello da oltre trent'anni…
Sempre lui, questa volta ci propone un monologo registrato sui due cd e scritto riportato in forma scritta sul libro inserito nel cofanetto in cui vengono trattate parecchie, quasi tutte le problematiche legate alla montagna ed al suo sfruttamento da parte della popolazione e non solo.
Questo dialogo ipotetico con la sua platea è schietto e puro, è quasi uno sfogo, una confessione delle sue avventure non sempre legali, un avvertimento alle coscienze di ravvedersi e di capire l'eccessivo sfruttamento delle risorse che la montagna ci mette a disposizione.
I temi trattati sono molto ben esplicati, la voce di mauro a tratti sibilante riempie l'aria di un alone mistico, mai noioso, adatto a tutti grandi e piccoli, forse soprattutto i bambini resterebbero affascinati dai suoi racconti che sapientemente intercala tra un discorso profondo e l'altro.
Parla della montagna in sé come dono di Dio, come tutto il resto del creato, mare, collina, pianura ed altro; tutto questo non va sprecato, anzi va valorizzato e non ricordato solo una volta quando casualmente cade l'anno internazionale della montagna in questo caso, il 2002.
L'eccessivo sfruttamento delle risorse fanno si che la montagna non è più in grado di recuperare quello che l'uomo ingordo di denaro e potere sta letteralmente distruggendo.
Porta l'esempio dei boscaioli, che non contenti della legna che tagliano, ormai con metodologie avanzate che senza fatica gli permettono di tagliare, pulire e preparare per essere venduta oltre 100 quintali di legna al giorno, dove la fatica più grande è tenere la motosega in mano, troppo ingordi di guadagnare senza pensare a ripristinare quello che si sta tagliando.
Parla di come dovrebbe essere l'approccio nei confronti della montagna, progressivo e non rapido del tipo "TUTTO E SUBITO"; di come è regola fondamentale conoscere a cosa si sta andando incontro alle cose indispensabili ed essenziali per avvicinarsi alla montagna a qualunque livello.
Quanto sia importante preparare un'escursione o arrampicata, disporre di carte topografiche ed informazioni sul percorso da seguire, La CONOSCENZA ci permette di agire più sicuri e poter affrontare preparati qualsiasi evenienza.
Continua, spiegando l'importanza di tutto l'ecosistema che gravita intorno alla montagna, portando l'esempio del parco delle alpi friulane, ma che rappresenta la quasi totalità delle aree boschive e di montagna direi addirittura del pianeta; l'eccessivo sfruttamento e l'inquinamento, e non ultima l'introduzione di specie animali non autoctone stia creando una serie di squilibri che fanno tendere alcune specie animali e vegetali alla quasi estinzione ed al contrario altre specie ad una eccessiva proliferazione a danno di tutto il sistema.
Un monito particolare alle strutture politiche che per l'eccessiva burocrazia e i tempi lunghissimi per le concessioni rallentano la buona volontà delle persone che con molti sacrifici cercano di restare attaccati alla vita in montagna, ed ostacoli burocratici di tassazione eccessiva uniti al grande impegno di dover gestire attività che richiedono un continuo lavoro senza sosta e possibilità di ferie, una mucca non la si può parcheggiare come una motocicletta per andare in ferie, mangia e sporca tutti i giorni compreso Natale, Pasqua e Capodanno.
A come la vita nelle pianure sia decisamente più facile e redditizia, quindi tende a far spopolare le alte valli facendo preferire ritmi di vita più rilassati, meno faticosi e meglio retribuiti che non restare a gestire qualche attività in montagna, dove i sacrifici e i ricavi sono decisamente più sfavorevoli.
Mauro Corona sottolinea come gli amministratori dovrebbero agevolare le attività degli ultimi artigiani in particolare della sua valle, la Valcellina, rendendogli la vita un pochino meno difficile, agevolando di decide di intraprendere un'attività in montagna.
Parla ancora degli animali, delle piante del bosco, dei turisti troppo poco abituati a camminare arrivino nei rifugi e quindi invadano la montagna in macchina o con mezzi meccanici; come invece sarebbe più salutare per chi lo pratica e per il rispetto della montagna avvicinarsi a piedi e senza radio a tutto volume a questa splendida esperienza che siamo invitati a vivere, la montagna in tutte le sue forme.
Mauro, spiega ancora come non sia salutare l'eccessiva competizione sulle pareti verticali, nonostante lui stesso ne sia stato un interprete da oltre trent'anni, di come sarebbe meglio avvicinarsi al massimo a quinto grado, altre il quale è solo una questione di tecnica e grado di stress.
Non voglio dilungarmi in ulteriori descrizioni, in quanto non sono Corona e soprattutto non scrivo e parlo come lui, anche se ammiro e condivido in pieno quello che dice.
Vi invito a leggere ed ascoltare questo bellissimo monologo sulla montagna, magari davanti al camino pieno di legna e con le fiamme scoppiettanti…
Trovo che l'idea del libro racconto scritto accompagnato dalla registrazione del dialogo sia eccellente, avvicina a questi concetti anche quelli che molto svogliatamente non leggono per mancanza di tempo o per il poco esercizio.
Una morale del dialogo è sostanzialmente quella di cercare di opporsi in qualche modo, anche nel nostro piccolo, al disastro che l'uomo ha originato, e prima che si trasformi in un immane disastro e tutto ricada su se stesso, è bene ravvedersi tutti.

Buona vita a tutti.

Alpinismo a tempo pieno (S.Metzeltin Buscaini)

bella figura di alpinismo femminile, di personcina mite, minuta e con una tenacia che spaccai muri...
credo che dopo una presentazione così Silvia possa darmi un premio...
Aparte gli scherzi Silvia Metzeltin rappresenta una delle prime donne che negli anni 60, quando il mondo alpinistico mondiale si affacciava al sesto grado, è riuscita a fare quello che facevano i suoi colleghi maschetti, è entrata in competizione in un mondo prettamente maschile e si è conquistata un posto d'onore sul campo, dimostrando che non solo l'elite maschile era in grado di superare certi passaggi difficili.
Diventata poi compagna di cordata fissa del grandissimo Gino Buscaini, nel tempo poi conoscendosi meglio diventò la sua fedelissima e inseparabile compagna anche nella vita.
Purtroppo qualche anno fa, il buon Gino a sessant'anni ci ha lasciato in un profondo sconforto per la sua dipartita, lasciando una traccia indelebile nella storia dell'alpinismo e delle esplorazioni delle terre sconosciute.

Entrambi, Silvia e Gino hanno vissuto e scritto pagine sulle sterminate e sconosciute pareti patagoniche, tanto da essere citati quali tra i maggiori conoscitori della zona della Patagonia, hanno scritto uno dei libri cardine sulle terre patagoniche, che chiunque si avventuri in quelle lande dovrebbe leggere. presto censirò anche quel libro.
Alpinismo a tempo pieno è la storia di una fanciulla che dopo gli iniziali studi inizia per gioco uno sport che la trascina sempre di più verso un bivio, continuare a tenere l'alpinismo come hobby o farlo diventare la sua unica fonte di sostentamento, con il difficile compito di racimolare i soldi sufficienti a campare, soprattutto perchè donna e malvista in un ambiente prettamente maschile.
l'incontro con Gino, la fase di conoscenza, l'innamoramento e la decisione di prendere sul serio i propri sogni e dedicarsi alle esplorazioni a tempo pieno tra le Alpi, le Dolomiti e le terre patagoniche, partecipando a spedizioni scientifiche e portando la loro esperienza in tutti gli ambienti con cui riescono a collaborare.
Grazie anche ai loro caratteri miti, tenaci e dolcissimi riescono a farsi benvolere da tutte le persone con cui lavorano.
Molto importante risulta essere la collaborazione con Il turing Club, a livello di descrizioni, guide, cartografie Italiane e non.
figure di un alpinismo estremo agli esordi, personaggi che si intrecciano lasciando, senza voler strafare un'impronta e un modello da seguire.

Ha fatto parte di una spedizione tutta al femminile in Imalaja...

Adesso sta pertando avanti il lavoro che con Gino aveva iniziato.

La sveglia suona, l'alba aspetta...

La sveglia suona, sono le tre e mezzo, un braccio esce dal sacco a pelo e svogliatamente tasta il vuoto per cercare di fermare quell'assurdo rumore proveniente dal telefonino.
Fuori dal sacco ti si gela il braccio.
Nonostante sia un rifugio il freddo è immenso.
Apri un occhio, l'altro cerca di resistere, convinci anche lui ad aprirsi a stento.
Prendi il coraggio ed esci dal sacco.
Il freddo ti fa svegliare quasi completamente, anche se ritorneresti volentieri dentro il caldo sacco.
Prendo i vestiti sotto il sacco per tenerli al caldo e mi vesto.
Intorno un piccolo micromondo si sveglia, i miei compagni di stanza si stiracchiano e tra mugolii assurdi piano piano escono dal bozzolo.
"Acciderbolina (per non dire di peggio), che Freddo!!!"
"Alzati…una voce dal fondo della stanza dice con tono pacato, ma deciso."
"Ma chi ce l'ha fatto fare?"
"Siamo proprio sicuri?"
"Si"
"…."
Usciamo dalla stanza, la stufa è ancora tiepida, ma non sufficiente per riscaldar el'ambiente intorno.
Effettivamente la temperatura è veramente bassa.
Mangio una tavoletta di cioccolata per riprendere le forze, anche se si chiama più "golosità".
Mi preparo ed esco mentre gli altri stanno ancora vestendosi.
Qualcuno fa il tentativo di scaldarsi con il tepore lieve emanato dalla stufa, ma l'effetto è quasi irrisorio, meglio vestirsi velocemente ed uscire, il patimento è minore.
Apro la prima porta, cerco a tastoni gli scarponi, li infilo, sono rigidissimi per il freddo.
Li allaccio con fatica, ho le mani rattrappite da ieri.
Apro la seconda porta che si affaccia all'esterno, una ventata gelida mi investe…
"Chiudi la porta!!!"
mi sono dimenticato di richiudere la porta interna…
"Quante storie… prima o poi qui ci devi arrivare…. Tanto vale che ti abitui all'idea del freddo che fa!"
"preferisco farlo dopo…"
"come vuoi"
e richiudo la porta.
Sono fuori. (qualcuno direbbe: in tutti i sensi…)
Un cielo stellato mi accoglie con una volta celeste di un nero splendente, sembra quelle notti di Agosto, quando ti siedi fuori per vedere cadere le stelle…ma siamo a quindici gradi sotto zero, altro che Agosto…
Mentre attendo che la marmaglia si prepari e soprattutto decida che è giunto il momento di mettere il naso fuori mi godo il freddo e la neve di un bianco luccicante.
La luna riflette i suoi raggi sul bianco prato antistante il rifugio, gli alberi fanno corona tutto intorno isolando lo sguardo
un silenzio avvolge ogni cosa, quasi irreale, mi sembra di essere in un altro mondo, quasi non swnto più il freddo, o sono completamente congelato oppure mi sto abituando al freddo.
Il silenzio e l'ora tarda, aumentano il senso di solitudine, una solitudine positiva, quella che ti lascia pensare, senza tanti fronzoli, ti rende nudo di fronte alle tue scelte, ai tuoi pensieri.
È bellissimo essere qui, adesso, in mezzo a questo nulla bianco cosparso di alberi e cose, ti senti immerso in un pensiero profondo che ti estranea dal mondo reale, ti porta lontano… ti fa capire quello che nella frenesia del mondo quotidiano non potresti fare, sarebbe bello poter fare queste esperienze interiori anche in altri luoghi, nella vita di ogni giorno, potersi estraniare in ogni luogo, occorrerebbe una grande forza di volontà che a me forse manca…
La necessità di dover staccare la spina e rifugiarsi in queste montagne per poter sentire l'essenzialità delle cose, lasciare tutto il mondo mondano per poter riassumere l'essenza dell'essere nella sua nudità.
Sentirsi vivo, parte di un disegno immensamente più grande, di sentirsi palpitare, sentire freddo, caldo, riuscire a percepire ogni singolo attimo della propria vita…
Il momento però dura poco, i piccoli rumori provenienti dalla scatola di latta del rifugi mio riportano al presente, e al fatto che alcune larve stanche e assonnate si stanno preparando per uscire… forse…

Certo che una stellata così erano mesi che non si vedeva…
Il tempo passa, e i futuri pinguini non sono ancora pronti…
"Andiamo, l'alba non aspetta…"
"Abbiamo prenotato, non vorrei arrivare tardi!"
"Vf"
"Dai!!!!"
lentamente la prima testa dopo 10 minuti spunta…
"…Che freddo!"
"resta fuori e ti abitui…"
in una ventina di minuti sono tutti fuori.
Chiudiamo il rifugio e zaini in spalla prendiamo al ripida salita verso la vetta.
L'alba ci attende…
La neve oltre il piccolo balcone di legno intorno al rifugio è alta e si sprofonda parecchio…
Iniziamo lentamente e affannosamente la salita, ci dobbiamo allenare il fiato alla fredda aria della notte, al fatto del grande dispendio di energie richiesto ai muscoli per salire.
Una fioca luce si intravede in mezzo agli alberi che ancoraci circondano.
Presto gli amici alberi lasceranno il posto alla sola roccia interamente coperta di neve, e la fatica aumenterà proporzionalmente all'altezza della neve intonsa.
La neve in salita è micidiale, quando oltrepassa il ginocchio rende la progressione durissima, ogni passo è sudato, molte volte si procede due passi avanti e uno indietro.
I passi lenti e cadenzati ci fanno guadagnare qualche metro con immensa fatica, ma pensando all'alba procediamo…
La vetta sembra irraggiungibile, anche se pare li davanti non si arriva mai, sembra di essere fermi.
L'orologio avanza, e la speranza di arrivare in cima prima del magico evento pare affievolirsi…
Arrancando passo dopo passo, squarciando la neve davanti a noi arriviamo all'agognata meta.
Un mare di nuvole si stende sotto di noi.
Le valli sono coperte, lo resteranno fino a giorno inoltrato.
Sembra di essere sopra un mare di cotone ovattato, spuntano solo le alte vette che sovrastano le nuvole.
Il cielo inizia a cambiar colore…
Una nuova alba è giunta ai nostri occhi.
Grazie di questo magnifico spettacolo…

Scomparsi sull'Everest (P. Firstbrook)

Il libro é la storia di un alpinismo eroico, vissuto nei primi decenni del secolo scorso, quando dopo la conquista delle più alte vette delle alpi, si sono spostate le attenzioni alla catena dell'Imalaja, dove la sete di conquista, e di gloria nazionale hanno spinto sempre più frequnetemente le prime spedizioni a misurare e ad avvicinarsi alle grandi montagne, ostacolati non poco dal territorio particolarment eimpervio e dal non facile comunicazioni con i paesi su cui questa grande catena montuosa si estende.
Ambientato intorno agli anni precedenti alla prima guerra mondiale e subito dopo, analizzando gli scenari politici e geografici del territorio e delle relazioni internazionali con i paese asiatici, alle colonie britanniche dell'epoca.
All'inizio spiega gli scenari coloniali dell'ottocento, e i primi tentativi di incursione britannica verso la grande catena montuosa per le misurazioni e la catalogazione delle principali vette, quelle che apparivano le più alte, inizialmente per una conoscenza del territorio, per la cartografia, all'epoca molto rudimentale, la difficoltà di penetrazione nel territorio ostacolata dai continui controlli alle frontiere per evitare appunto l'intromissione di stranieri in territorio nepalese, cinese nelle altre zone che non facevano parte dell'India, all'ora colonia Britanica, proprio dal nome di uno dei responsabili del progetto di misurazione si deve il nome occidentale dell'everest, a sir George Everest, vissuto moltissimi anni in India per l'inghilterra come responsabile del progetto di sviluppo britannico, poi succeduto da altri, ma in suo onore è stato dato il suo cognome alla vetta che all'epoca e poi sempre confermata risultò essere la più alta in assoluto nella catena dell'Imalaja, ciò ci fa capire anche quanto fossero precisi i calcoli degli scienziati Inglesi, che nonostante una tecnologia rudimentale, paragonata agli strumenti modernissimi utilizzati adesso, sbagliarono di pochissimi metri, considerato inoltre che la catena Imalajana per effetto di pressione delle faglie oceaniche che si stanno comprimendo è tutt'oggi in ascesa, potrebbero anche essere stati esatti anche i calcoli che fecero all'ora, senza errori.

in questo scenario si delineano le prime esplorazioni che dopo aver studiato il territorio iniziano a sentire il sediderio di salirne anche i crinali...
Inizia la rudimentale, quanto spasmodica ricerca dei passaggi per avvicinarsi sempre più alle pendici dei colossi di oltre ottomila metri, e i primi tentativi di calcarne i ghiacciai.

Successivamente si passa ad analizzare le figure umane degli inizi del secolo 1900 che si delineano all'orizzonte, le persone, gli alpinisti, che non sono stati decimanti dalla prima guerra mondiale, che saranno poi i veri protagonisti dei tentativi alle vette.
tra questi spicca la figura di un Giorge Mallory, che appassionato di alpinismo, e precursore di tecniche straordinarie salta subito ai vertici del ristretto elite di giovanio scalatori e alpinisti dell'epoca, britannici ed europei.
La sua fama di buon salitore era accompagnata però dalla profonda istintività che lo accompagnava, era sbadatissimo e spesso si dimenticava le cose più fondamentali che potessero servire in montagna... occorreva corrergli dietro come ad un bambino...
per questo in alcuni momenti la sua pertecipazione alle spedizioni è restata incerta.
In questi ragionamenti dell'autore si inserisce la giovane figura di Irvine, che nell'ultimo assalto del 1924 alla vetta dell'Everest, era con Mallory e come lui non è mai tornato, il suo corpo giace ancora sulle pendici della montagna, probabilmente custode del segreto se i due alpinisti in condizioni impressionanti quella mattina avevano raggiunto la vetta 29 anni prima della conquista ritenuta ufficiale...
Solo la macchina fotografica, non ritrovata sul corpo di Mallory nel 1999 da una spedizione scientifica.

leggete il libro molto esplicativo delle tecniche e delle problematiche affrontate dagli alpinisti dell'epoca.

Aspro e dolce (Mauro Corona)

un libro sul Vino, storie di un paese, storie di boschi, di uomini, di montagna, di tradimenti e delusioni annegate nel succo d'uva, se succo d'uva si tratta, o nel metanolo a volte, grazie ai delinquenti...

Un Bicchiere sempre pieno e sempre vuoto, la differenza sono pochi istanti...

Mauro Corona è fatto così per chi non lo conosce un personaggio vero, schietto, tutto d'unpezzo, con una faccia sola, non ha vergogna a parlare di quello che per tanti compreso lui potrebbe essere un problema, l'alcolismo, iniziato in tenera età con lo schietto RABOSO, un vino sanguigno e denso, quasi pastoso; anche se Corona sostiene di non essere mai stato alcolista.

Di essersi salvato dal baratro dell'alcolismo che giorno dopo giorno subdolamente ti incatena e non ti lascia più, fino alla disfatta totale dell'individuo, che cadendo nella delusione e nell'apatia entra inesorabilmente in un vortice senza fine che ti fa sprofondare sempre più in basso.

Storie legate alla diga del Vajont, ai sopravvissiti, sfollati e costretti ad una vita che si abbandona lontano da casa, dagli affetti, tra un'osteria e l'altra per dimenticare...
Ma i ricordi a mente lucida riaffiorano, e il vino diventa il rifugio idele per annebbiare i ricordi e stordire, fino alla nuova lucidità, quando l'effetto dell'alcol finisce e la delusione e la consapevolezza di come ci si è ridotti riaffiora, ed il circolo vizioso ha inizio... da mattina a sera. Sempre.

un libro da leggere senza pregiudizi, chi conosce Corona sicuramente non ne ha nei suoi confronti, proprio per la sua natura, selvaggia, introversa, a volte scontrosa, ma sincera e limpida come l'acqua di fonte d'alta quota.

un Libro di vita vissuta, che narra le vicende di un ragazzo che sfollato dopo la catastrofe del Vajont passa dal collegio a lavorare, lavorare duro, a sudare il pane che mette sotto i denti e a cresce i mezzo a persone sincere e buone, con qualche incontro poco piacevole, ma con persone che per ignoranza, o per dimenticare hanno il vizio della bottiglia, e l'insperto Mauro si forma in questi ambienti, facendo a proprie spese i danni che l'alcol giorno dopo giorno crea nell'individuo che senza accorgersene ne diventa schiavo.
All'inizio ti sembra di poter gestire la situazione, sei giovane e il fisico reagisce alla grande... ma poi, proprio quando credi di avere il controllo totale, di poter smettere quando vuoi, ti ritrovi invischiato in una ragnatela che giorno dopo giorno non ti lascia più, e ti conduce inesorabilmente verso l'oblio.

Lo stesso Mauro, proprio per le sue caratteristiche di ragazzo di montagna, forte e robusto, durante le prime sbornie non ha conseguenze, sempre puntuale sul lavoro, alla sera sbornia, a letto a ore indecenti, e al mattino fresco riprende la vita di sempre... ma col tempo si accorge che il vino, per quanto possa sembrare sincero un bicchiere, non è innoquo e ti distrugge come la goccia cadendo sulla roccia la buca, è solo questione di tempo.

Vi consiglio la lettura di questo grosso volume, si tratta di un discreto libro, al contrario di altre sue opere è molto corposo.
Lo stile è lo stesso, scritto da un uomo semplice che racconta storia vissuta della sua Erto e dintorni, un inesorabile elenco di amici, parenti, conoscenti, lui stesso, come si sono trovati a contatto con il dolce assassino e come ne sono caduti vittima.

Non un libro moralista o per moralisti, senplicemente episodi veri vissuti e raccontati con maestria, in un linguaggio che ti prende il cuore e l'animo, pacato e rude allo stesso tempo.
Il suo stile mi affascina, come del resto la sua vita, molto vicina per certi versi alle mie esperienze, di vita faticosa, l'amore per la montagna per il legno, per lo spaccare la legna con l'accetta, come facevano 100 anni fa...

Di questa mia predilezione sono conscio, pertanto la mia opinione e valutazione in merito alle sue esperenze, a parte l'abuso di alcolici, mi pone in una posizione di parzialità, e non vorrei influenzare ulteriormente la critica.

Al di là della mia personale e sviscerale predilezione per l'autore penso che possa essere comunque un'interessante lettura, tra i meandri di una mentalità antica, e radicata nelle persone di montagna che nonostante il progresso non si rassegnano alle comodità, e continuano a vivere abbarbicati sulle pendici delle montagne accettandone tutte le sfuriate delle grandi vette, con non pochi sacrifici, economici ed in termini di fatica.

non vi voglio più assilare con le mie parole...
vi auguro una buona lettura se la riterrete consona al vostro animo.Bi

La morte sospesa - Touching the void (Kevin Macdonald)

Film tratto dalla storia vera di " Joe Simson, appunto "La morte sospesa" edito dalla Vivalda Editore.
Il libro Libro in questione è un best-sellers che ha vinto il Boardman Tasken Price 1988, il NCR Book Award for Non Fiction, il Literaturpreis des Deutschen Alpenvereins 1990.

Una breve presentazione di uno dei protagonisti, l'autore del libro.

Joe Simson, è un alpinista Inglese le cui vicende sono diventate famose sia per la sua bravura, che per le sue disgrazie, dalle quali ne è uscito fuori sia per fortuna che per la costanza di non arrendersi neanche di fronte alle situazioni più deludenti.
Nato nel 1960, , laureato in Lettere e Filosofia all'Università di Edimburgo, si è sempre dedicato all'alpinismo, lasciando un pochino da parte la sua laurea, viveva molto tempo a Chamonix per poter arrampica sul Monte Bianco, dove una volta in modo molto fortuito, fu vittima di una valanga, che lo trasporto a valle per diverse centinaia di metri, ma il cosa volle che durante la caduta la massa di neve lo ha sballottato dappertutto, ma quando si è placata la sua forza joe era vicino alla superficie e ci mise poco a uscire dalla massa soffocante.
Dopo quell'incidente e molti altri, di minore importanza…. una volta restò appeso alla parete con un compagno, durante la notte perse uno scarpone sulla cengia dove si erano fermati a dormire, e dovette intervenire il soccorso Alpino di Chamonix per recuperarli…
La sua fama internazionale credo la raggiunse nel Giugno 1985, quando con Simon Yates organizzarono una spedizione sulle Ande peruviane e cercarono con successo di raggiungere la vetta del Siula Grande (6536) per la parete Ovest, una parete inviolata.

E qui inizia la storia…
Il film narra appunto di questa memorabile, quanto tragica salita e discesa dalla grande montagna.
Gli interpreti principali sono due bramissi attori alpinisti che si sostituiscono ai veri protagonisti che narrano e commentano con voce fuori campo in modo quasi da documentario le varie fasi della vicenda.

Gli interpreti di questo film-documentario sono gli stessi Joe Simpson, Simon Yates, e Nicholas Aaron, Brendan Mackey, che interpretano i due sul set.

Tutto filò liscio finchè durante la discesa dal versante opposto successe l'imprevedibile Joe Simpson per una manovra affrettata e brusca si ruppe una gamba, in seguito all'instabilità della stessa, cadde dalla montagna, i due restarono attaccati e Joe penzolava nel vuoto con tutto il suo peso… il suo compagno dopo aver lottato strenuamente per recuperarlo, stava scivolando nel baratro insieme a lui e fece la cosa più corretta in quei casi…. TAGLIò la corda e vide sparire il suo Amico giù per un profondo crepaccio…. Simon non si dava pace, ma era l'unica cosa che avesse potuto fare… era disperato.
Tutto il giorno e il giorno successivo lo cercò, cercando di capire se potesse essere ancora vivo, ferito, ma ancora vivo… nessuna risposta.
Il crepaccio era troppo fondo perché i due si potessero sentire.
Nel frattempo Joe era caduto su un ponte di ghiaccio ed era anch'egli disperato per la situazione, si trovava ferito in modo grave per le due cadute, una gamba rotta malamente, su un ponte di ghiaccio, lontano da ogni essere vivente che potesse sentirlo, su una montagna che avevano scalato loro per primi, per cui nessuno avrebbe potuto aiutarli… con il suo compagno che lo stava cercando inutilmente, i due si chiamavano ripetutamente senza successo, avrebbe dovuto farcela con le sue sole forze… arrivò alla disperazione di lanciarsi dal ponte di ghiaccio nel buio del crepaccio, per trovare la morte… ma non era la sua ora e atterrò sul fondo dello stesso.
Si trascinò sul fondo del crepaccio… era l'unica cosa che potesse fare, cercando una via di uscita…fuori dal crepaccio, che fortunatamente terminava quasi pianeggiante e riuscì ad uscire all'aria aperta.
Ok era fuori, ma si trovava ancora in cima ad una montagna che nessuno conosceva, e soprattutto nessuno sapeva che era li.
Lo sconforto lo avvolse, ma con la sua forza di volontà riuscì metro dopo metro, crepaccio dopo crepaccio ad avanzare lentamente, strisciando, l'unico aiuto erano le sue piccozze che usava come attrezzi per trainarsi.
La sua situazione si faceva sempre più grave… ed era grave veramente, erano 3 giorni che non assumeva nessun liquido, ed era tremendamente disidratato.
Arrivò ad un rigagnolo d'acqua dopo infinite peripezie, dopo aver lasciato lo zaino e le piccozze lungo il cammino arrivò arrancando a bere… erano passati già 4 giorni di cui 2 notti al gelo dei 6000 metri… un nuovo terrore assalì Joe, tutti lo credevano morto in fondo al crepaccio, nessuno sarebbe venuto a cercarlo e la spedizione era alla fine la vetta era stata conquistata… a caro prezzo, e giù al campo base non avrebbero atteso che lui tornasse, sarebbero scesi dalla montagna a momenti, ma senza perdersi d'animo cercò di recuperare le forze e scese ancora… non era distante, ma la sua distanza era enorme, visto che non deambulava, strisciava come un vermicello e per di più era gravemente ferito alla gamba, che ormai era diventata un tubo informe della stessa dimensione dalla caviglia alla coscia era tutta larga uguale… e per di più non aveva neanche una piccozza, un bastone per aiutarsi.
Al campo Simon e il terzo della spedizione ormai disperati per la perdita di Joe avevano bruciato i suoi vestiti per avere meno materiale da portare via e si stavano accingendo a scendere dalla montagna.
La notte successiva, Joe strisciando si accorse dell'odore acre che aveva la terra in quel punto, si rese conto che quello su cui stava arrancando era un terreno cosparso di escrementi, la latrina del campo, questa disgustosa gioia lo pervase e si mise ad urlare talmente forte che coprì iil vento che si stava preparando ad una bufera… i suoi compagni increduli di quello che stavano sentendo uscirono con la torcia e lo trovarono.
Festeggiamenti, lacrime, spiegazioni, scuse andarono avanti per tutta la notte, la sua disidratazione apparve grave immediatamente, lo rincuorarono con the caldo e il giorno seguente scesero dalla montagna con i portatori che rano venuti a recuperarli e gli animali da soma.
Joe venne ricoverato in ospedale il prima possibile dove gli curarono la gambe e soprattutto il suo stato di disidratazione.

Dopo questa tremenda avventura, che gli costò ben sei interventi chirurgici e contrariamente alle previsioni dei medici, ha ripreso l'attività in montagna ed ha ancora partecipato a spedizioni extra-europee.


Film interpretato molto bene, realistico, con scene mozzafiato.
I due interpreti oltre ad essere bravissimi alpinisti intepretano i personaggi in modo egregio.
Sotto l'atenta supervisione dei veri protagonisti il film ha preso corpo e ha ottenuto un'ottimo risultato.

Scheda tecnica del film:
(Informazioni dei cenni cinematografico della pellicola prese dal sito di FILMUP.com)

La morte sospesa - Touching the void
Prodotto nel Regno Unito nel 2003, e proposto al cinema a partire dal 18 Marzo 2005
La durata complessiva della proiezione è di 106 minuti,
Regia: Kevin Macdonald
Cast: Joe Simpson, Simon Yates, Nicholas Aaron, Brendan Mackey,
Sito ufficiale: www.ifcfilms.com/touchingthevoid Produzione: John Smithson
Distribuzione: Fandango

Il film ha vinto il premio come miglior film inglese ai Bafta e al 52° Film Festival Internazionale città di Trento.
Il film è stato girato sulla Siula Grande in Perù e sulle Alpi. Kevin MacDonald, il regista, nel 2000 ha ottenuto il premio Oscar con il documentario "One day in September".
Un film decisamente da vedere, per appassionati di montagna e non; sicuramente un inno a non mollare mai, anche quando tutte le cose sembrano contro di voi, e sembra tutto finito.
C'è sempre un filo di speranza…
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