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venerdì 11 gennaio 2008

Lo sherpa (Jamling Tenzing Norgay)

La madre dell'universo

Devo dire che quando sullo scaffale della libreria ho visto questo libro mi è balzato un tuffo al cuore.
Il leggere poi sulla copertina prefazione di Jon KraKauer mi ha letteralmente mandato in bestia.
Mi dispiaceva che un libro scritto da uno sherpa potesse essere rovinata da una prefazione di un personaggio di cui non nutro la benchè minima stima.
Devo dire che purtroppo nutro un sentimento molto profondo di sconcerto e notevole fastidio interiore al solo sentilo nominare.
Dopo aver letto Aria Sottile mi ero appassionato a questa tristissima vicenda, e di conseguenza avevo letto gran parte delle testimonianze dei partecipanti che miracolosamente sono ritornati a casa.
Poi la curiosità di sentire l'altra campana, quella del grande quanto sfortunato, che sentendosi accusato ingiustamente da Krakauer e i suoi sostenitori aveva replicato scrivendo "EVEREST 1996, UN SALVATAGGIO IMPOSSIBILE", in cui smontava punto per punto le accuse del "Cliente" Krakauer.
Purtroppo Anatolij Nikolaevic Bukreev morì sull'Annapurna il 25 dicembre 1997 in cordata con un connazionale e il nostro Simone Moro, che miracolosamente riuscì a non essere portato via dalla valanga…
Ma questa è un'altra storia.
Per dovere di cronaca e per poter capire bene tutta la faccenda se siete interessati vi invito a leggere sia "Aria sottile"
sia "Everest 1996, un salvataggio impossibile" nello stesso ordine, per poter capire la sequenza di accuse e contraccuse.
La mia iniziale stima per KraKauer si è trasformata in un senso di fastidio dopo la lettura del libro di Anatolij Nikolaevic Bukreev, e dopo aver constatato i soprusi editoriali a cui è stato sottoposto, senza diritto di replica alle accuse di KraKauer.
Avevo scritto nella mia ultima recensione di Everest 1996 salvataggio impossibile, che non avrei più scritto di questa tragedia, era già stato scritto troppo, e a dire il vero avevo preso appunti sulle prime impressioni che un libo r mi suscita, ed erano altamente negative, pensavo che fosse l'ennesimo attacco a Anatolij per il suo presunto comportamento irresponsabile, e la mia primaria ipotesi era avvalorata dalla prefazione di Krakauer, che non avrebbe mai scritto qualcosa che andasse a suo discapito, ma no avevo ancora aperto le pagine del libro... e nessuna idea era più sbagliata.
in Libro inizia con una introduzione del Dalai Lama che elogia il libro e la visione della montagna da parte dell'autore.

Inoltre, dopo qualche giorno di lettura mi sono accorto della sottile allusione che mi aveva mandato fuori dalle righe...
il sottotitolo, "La tragedia di Aria sottile raccontata dal capo degli sherpa..."
La tragedia di Aria sottile, e non la tragedia dell'Everest del 1996..., c'è una grande differenza, si presuppone che il libro di Krakauer sia la fonte ufficiale... è diventato un pezzo di storia?
Sulla tragedia si sono scritti innumerevoli pagine, e di autori diversi che non vengono nominati... perchè?
questo dovrebbe essere un buono spunto per analizzare il taglio che chi ha prodotto, o affiancato la produzione ha voluto far passare.
Vorrei credere che l'autore non sia stato pilotato...
Leggiamo il contenuto e i commenti personali in fondo...

Leggendo questo libro ho ritenuto di portarvi una testimonianza che con le polemiche forse ha poco a che fare, è il punto di vista di uno sherpa, di un capo sherpa, importante, figlio del mitico Tenzing Norgay che salì per primo insieme a Edmond Hillary nel maggio del 1953 sulla cima dell'Everest passando la parete sud.

Il libro che stiamo per analizzare fortunatamente ha una matrice diversa, o per lo meno dalle prime righe pare così.
Il punto di vista di un nepalese, differente dalla visione occidentale delle grandi montagne, che venera la montagna come una dea, e le si avvicina con grazia e armonia.
Bellissimo il pensiero che accompagna il retro della copertina….
"L'EVEREST DEV'ESSERE AFFRONTATO CON RISPETTO E CON AMORE COME FANNO I BAMBINI QUANDO SI ARRAMPICANO SUL GREMBO DELLA MADRE.
CHI AGGREDISCE LA VETTA CON L'ARROGANZA DI UN SOLDATO, NON PUO' CHE PERDERE."

Questo libro è più una ricerca delle tracce del padre da parete di un figlio, un avvicinamento alla vetta come un pellegrinaggio sulle sue pendici, piuttosto che una conquista tipica degli occidentali, i mikaru "occhi chiari" come i nepalesi definiscono gli alpinisti occidentali.

Jamling Tenzing Norgay ha avuto l'opportunità di vivere entrambe le esperienze, cresciuto in Nepal e India, è poi stato mandato a studiare in America, dove si è laureato, nella stessa università che aveva assegnato al padre una laurea honoris causa, ha vissuto poco l'esperienza religiosa del suo paese, non ha mai rinnegato il buddismo, ma lo viveva più come una forma di scaramanzia, per esempio il legare le bandierine di preghiera al vento in segno di buon auspicio, più che una forma di rispetto verso la montagna e i suoi segni.
Estremamente attratto fin da piccolo dall'Everest, Jamling ne restò sempre lontano, soprattutto per volere del padre, che proprio in una occasione in cui il giovane avrebbe potuto partecipare ad una spedizione benché molto giovane, invece di assecondare il volere del figlio, sarebbe bastata una sua parola per farlo entrare in quadra (il padre, dopo l'ascesa dell'Everest, era diventato quasi una divinità c'erano i pellegrinaggi a visitare la sua casa, sia il Nepal, Il Tibet e l'India lo consideravano loro cittadino), sostenne: "Ho scalato l'Everest perché non lo dovessi fare tu", lasciando il giovane Jamling perplesso e deluso per la mancata occasione.
Tenzing Norgay (padre) morì improvvisamente di un collasso nel 1986, mentre il giovane Jamling era ancora in America a studiare, lasciando la famiglia in una profonda crisi interiore, i figli sentivano tremendamente la mancanza della figura paterna, soprattutto i suoi insegnamenti, anche se molto spesso era lontano per tenere conferenze.
In Jamling restò questo vuoto, insanito, il poter ripercorrere le orme del padre, salire sulla cima dell'Everest, essere dove fu suo padre tanti anni prima, un confronto padre-figlio, oltre ad un confronto con la montagna, che assunse un ruolo diverso, come del resto assunsero le preghiere e la visione buddista del suo popolo quando si trovò faccia a faccia con l'Everest, la grande Madre dell'universo…
Nel Gennaio del 1996 dieci anni dopo, ci fu l'occasione, una spedizione americana della IMAX, condotta da David Breshears, gli propose di partecipare come Capo sherpa, Jamling accettò, anche se la moglie aveva parecchi dubbi e riserve.
Jamling per tranquillizzare la moglie si recò da un rimpoche, un religioso, una specie di asceta che vive solo di preghiera, che lasciò il povero Jamling ancora più sconcertato e insicuro, predisse che la futura stagione sull'Everest non prometteva nulla di buono, una disgrazia era incombente…, un secondo parere di un altro rimpoche a Katmandu lo lascio ancora più pensieroso… profetizza una brutta stagione sull'Everest, ma con le preghiere e la fede Jamling potrà tentar edi scacciare gli ostacoli sul cammino per la vetta della montagna più alta del mondo.
Nel frattempo il racconto si dilunga nella narrazione della figura materna, anche lei scomparsa all'età di 52 anni durante un pellegrinaggio.
Episodio forse poco rilevante ai fini della storia principale del libro, ma di fondamentale interesse per capire l'animo dell'autore e le sue emozioni precedenti alla spedizione e i suoi pensieri durante la salita della grande montagna.
Fondamentale il suo poco attaccamento alla religione buddista, e lo sforzo per rispetto dei genitori di esporre al vento le bandiere di preghiera, inizialmente ritenute da lui solo un'azione scaramantica.
Tra preghiere e dubbi Jamling entra a far parte della spedizione, nello staff della spedizione, pur essendo uno sherpa, la sua figura è tra i due mondi quello occidentale da cui ha appreso per anni le abitudini e le usanze, e quello dei portatori d'alta quota di cui conosce la lingua e si sente a suo agio con loro.
Inizia per lui l'ascesa non tanto fisica, anche se non è da sottovalutare l'estremo gesto fisico per arrivare sulla vetta, quanto l'aspetto psichico, l'avvicinamento alla figura paterna, passare dove è stato lui sulla montagna 43 anni prima.
La Sua ascesa alla vetta più importate della sua vita.
I capitoli successivi raccontano il lento avvicinamento al campo base, le varie tappe dall'aereoporto di Katmandu alle prime compagini del ghiacciaio del Kumbu, dove sorge il campo base dell'Everest, una vera e propria cittadina di tende variopinte delle varie spedizioni che un mese prima del monsone si danno appuntamento ai piedi della grnade piramide nera.
Una serie di pellegrinaggi sulla via della salita ai vari monasteri, dove si prega e si chiede la benedizione dei monaci per la buona sorte della spedizione, si fanno doni e si accendono lampade al burro.
Il continuo confronto fra le due epoche 1953 e 1996 sono sempre presenti, la prima salita del padre, la descrizione delle varie divinità che popolano le vette delle montagne tutte intorno, la figura paterna sempre presente, lo stesso autore percorrendo quella strada si sente molto vicino al padre, come se avesse anche lui partecipato alla spedizione verso la vetta e avesse aiutato il padre a raggiungere la vetta, non tanto il padre vicino al figlio nel 1996.
L'autore si dilunga in una minuziosa descrizione delle divinità che popolano le vette secondo le credenze locali, e il discorso per adesso assume un contorno quasi mistico, al contrario delle altre descrizioni tecniche degli scritti di altri autori che, al modo occidentale, si sono limitati a descrivere la salita e le emozioni legate ad essa.
Molto interessante, anche se i nomi delle divinità e la traduzione dei vari posti assumono nomi impronunciabili.

L'arrivo al campo base, la spedizione arriva nel posto dove più o meno comodamente passerà i prossimi 2 mesi, dove tutta la troupe si organizza insieme alle altre 11/12 spedizioni che stanno per popolare questa detritica zona che tra pochi giorni ospiterà circa 400 persone distribuite in un variopinto tappeto di tende multiforma.
Un'altra minuziosa descrizione dei riti buddisti per propiziarsi favorevolmente le divinità e per la buona riuscita dell'impresa.
Quasi tutti pregano, gli sherpa per fede, gli occidentali, chi per rispetto verso gli indigeni, chi per scaramanzia e superstizione, tutti partecipano alle funzioni ufficiate dal lama con doni di ogni tipo, persino barrette energetiche cioccolata e bottiglie di whisky.
Vengono stabiliti i tempi di ascesa della montagna, primariamente per non incorrere in un sovraffollamento nella parte finale della montagna, sia per le credenze religiose stabilite dal lama.
Effettivamente il problema del sovraffollamento si fa pressante, troppe spedizioni si trovano al campo base per l'ascesa alla vetta, e troppo pochi sono i giorni della finestra di bel tempo concesso prima del monsone…
Le due spedizioni di punta quella guidata dal Scott Fischer e Bob Hall si accordano per percorrere il tratto finale dal campo 4 alla vetta unendo le forze il 10 maggio 1996, e comunicano alle altre spedizioni già presenti le loro decisioni, accordandosi per salire alla vetta o prima o dopo il 10 maggio; chi decide di salire dopo, potrà utilizzare le corde fisse lasciate dalla precedente salita del 10 maggio.
Il gruppo della IMAX decide di salire il giorno prima, 9 maggio non avendo la necessità delle corde fisse e per non avere troppo affollamento durante le riprese alla vetta.
Fra le altre coincidenze il 9 maggio è anche l'anniversario della morte del padre di Jamling, e l'autore spera di sentire maggiormente la presenza del padre, e di ricevere dal lui maggiore forza e protezione.

La descrizione delle persone al campo base lascia sconcertato l'autore e il lettore, ci sono persone che non hanno mai arrampicato e non hanno la minima idea di che cosa possa essere una seraccata o una parete ghiacciata, no sanno nemmeno allacciarsi i ramponi…
Questa dovrebbero essere le persone, non li voglio nemmeno chiamare alpinisti che dovrebbero salire e soprattutto scendere vittoriosi dopo aver conquistato la vetta della montagna più alta della terra?
Speriamo bene….
Una grande spedizione su un ottomila può venire a costare circa 500.000 dollari, ogni alpinista che desidera partecipare deve sborsare una cofra che si aggira tra 30.000 ed i 65.000 dollari a testa solo per le tasse e gli ingaggi per i portatori, più tutta l'attrezzatura personale, che non è di poca spesa…

Troppe persone, troppi interessi in ballo, il governo locale sta concedendo troppe licenze per la salita alla montagna, è diventata una forte fonte di reddito, a scapito però della sicurezza delle singole spedizioni.

Le descrizioni continuano sempre con il parallelo tra la spedizione del 1996 e il ricordo delle foto scattate dal padre nel 1953, un ricordo pervaso do nostalgia, di ricerca del particolare, dalle foto impresse nella sua mente, ormai datate più di cinquanta anni fa.
Il racconto si perde in un dettaglio delle usanze tipiche dei luoghi, delle credenze, del culto dei morti sulla montagna, dei riti funebri, che vedono nel versante sud Dell'Everest la cremazione degli indigeni caduti prematuramente sulla montagna, e la formazione con le loro ceneri tavolette votive di preghiera; in contrapposizione con le usanze del lato nord della grande piramide nera, che squoia i cadaveri e li lascia al pasto degli avvoltoi, con la credenza che si nutra la natura con la carne del corpo, non si uccidano nemmeno gli insetti con il fuoco ed il fumo della cremazione, viene definita… "sepoltura in cielo"
Una versione della salita contrapposta al modo occidentale, spirituale, e non dettagliata dei fatti accaduti, i sentimenti dell'autore messi in primo piano, i fatti accaduti scendono in secondo piano, sono lo scenario in cui i suoi sentimenti e credenze si snodano.

I fatti catastrofici devono ancora avvenire, ma a parte qualche breve avvisaglia dell'eccessivo affollamento nei campi alti, non si preannuncia ancora nulla.
La squadra della IMAX, decide però di scendere al Campo base, troppe persone stanno affollando i campi 3 e 4. Troppa gente, troppo alto il rischio di lunghe attese nei punti difficili, ed il tempo sembra che aprirà la finestra di bel tempo più tardi,oltre la prima decina di Maggio, quindi riprese dalla vetta molto scarne, da qui la decisione di scendere ed attendere il tempo migliore.
La notte tra il 9 ed il 10 Maggio, le spedizioni partono dal campo 4 a 7900 metri per la vetta.
Una interminabile fila di formichine si avvia verso quella che sarà una lunga e tremenda giornata.
Rob Hall uno dei capi spedizioni, aveva fissato l'ora di massimo arrivo in vetta per l'una del pomeriggio, qualunque cosa fosse successa, chi a quell'ora non si fosse trovato sulla cima, avrebbe dovuto girare le spalle alla vetta e scendere al Colle Sud o campo 4 che dir si voglia.
Il Colle Sud è una spianata tra l'Everest ed il Lothse, in cui si può allestire un discreto e vasto attendamento, maggiore che in altri punti della montagna, ma comunque ci si trova in prossimità della zona della morte…
I fatti avvenuti nella giornata del 10 Maggio testimoniano come le regole ferree stabilite a priori non siano valse a nulla, lo stesso Hall raggiunse la vetta alle 3,00 del pomeriggio e fino alle 4 non si mosse dalla cima per attendere l'arrivo di un cliente al quale anni prima aveva già fatto saltare la vetta per il maltempo.
Sulla montagna si trovavano anche Jon Krakauer , giornalista inviato dalla rivista "Outside", cliente di Scott Fischer e Anatolij Nikolaevic Bukreev come Guida di Rob Hall.
Una serie di congetture negative bloccarono le squadre sulla montagna durante una tremenda tormenta di neve e ben 11 persone persero la vita.

Anatolij Nikolaevic Bukreev nonostante la stanchezza nella notte tra il 10 e 11 maggio salvò almeno 5 persone…

La squadra della IMAX raggiunse la vetta qualche giorno dopo la tragedia del 10 Maggio.

Il libro per quanto mi sia sforzato di vederlo con occhio critico è risultato abbastanza neutrale tra le parti in causa, e per parti in causa intendo il libro scritto da Jon Krakauer e il libro di Anatolij Nikolaevic Bukreev.
A parte il titolo ed il sottotitolo che facevano pensare ad una netta sottolineatura a favore di Krakauer , che comunque è dimostrato sia stato in torto, il libro ci presenta un punto di vista diverso della vicenda, molto più distaccato e diretto a sottolineare la grandezza della montagna, il suo affetto per la vetta e per l'azione spirituale volta all'avvicinamento e alla preparazione benevola delle forze che agiscono sulla montagna.
Un buon libro.

È interessante vedere come le montagne nel loro paese siano viste come divinità e non semplici oggetti da conquistare...
anche se ho già ribadito in altre innumerevoli occasioni come può l'uomo pensare di conquistare qualcosa che è nettamente più grande, immensamente più forte, e potrebbe spazzarlo via con una semplice folata di vento...
Questi sono i nomi della grande montagna vista dai suoi paesi vicini ai suoi versanti: Tibet, Cina, e Nepal.

Chomolangma (tibetano, "madre dell'universo")
珠穆朗瑪峰 Qomolangma (cinese)
सगरमाथा Sagarmatha (nepalese, "Dio del cielo")

Numerose sono i libri che trattano questa tragica pagina dell'alpinismo mondiale: oltre ai già citati "Aria sottile" di Krakauer ed "Everest 1996, storia di un salvataggio impossibile" di Bukreev, citiamo anche "Il mio Everest" di Gammelgaard e "A un attimo dalla fine" di Weather .

A voi le letture se siete interessati, questo libro merita per il punto di vista di un osservatore sherpa, che ragione in modo differente dagli altri scrittori, anche se probabilmente no raggiunge l'eleganza stilistica dei professionisti della forma ed espressione (vedi Krakauer, molto coinvolgente), ma se i contenuti sono essenziali all'autore per definire il suo pensiero ben vengano; credo siano importanti entrambi, ma fondamentalmente i contenuti e la veridicità dei fatti narrati.

Un breve cenno climatico…
Everest, la più alta vetta del mondo con i suoi 8850 metri di altezza, un clima gelido, mi si gela il sangue al solo pensiero della temperatura sulle sue pendici, -20 gradi centigradi in condizioni di tempo buono e stabile, si arriva tranquillamente a temperature che superano i -50 gradi in condizioni di bufera.
quote in cui il fisico umano si deteriora in modo irreparabile e la permanenza oltre quota 8000 deve essere limitata a poche ore, altrimenti si va incontro a morte certa; non per niente la parte di montagna che si trova oltre quota 7900 metri viene simpaticamente definita "la zona della morte".
La parte più difficile di una spedizione Himalayana non è tanto la salita, quanto poi la discesa, possono iniziare a mancare le forze, l'aria è sempre molto rarefatta, e se si utilizzano le bombole potrebbero essere quasi finite, per l'utilizzo durante la salita, infatti la media di persone che toccano la vetta e non tornano è molto alta, proprio per le condizioni fisiche e non ultime atmosferiche, la sera scende inesorabile e passare una notte all'addiaccio oltre quota 8000 è quasi morte certa.
Questi sono i presupposti alla tragedia, ad aggravare il tutto ci si è messo il vento e una tremenda bufera…

Suggerisco comunque la lettura anche di "Aria sottile" di Jon Krakauer e "Everest 1996, un salvataggio impossibile "di Anatolij Nikolaevic Bukreev, per comprendere a fondo cosa realmente è successo quella fatidica quanto tragica giornata del 10 maggio 1996.

(presente anche su www.ciao.it)

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