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lunedì 21 gennaio 2008

Alpi Marittime - Argentera - Bivacco Baus – visto sotto una luce diversa…

Alpi Marittime - Argentera - Bivacco Baus – visto sotto una luce diversa…

Tratto da “La montagna oltre lo sguardo”, appunti di viaggio.

La salita verso il bivacco Baus, vista sotto un'altra luce.

Credo sia Settembre.

Si è l'8 settembre 2001.

Le nozioni topografiche e logistiche ve le ho già elencate in precedenza, volevo parlarvi delle sensazioni provate, al di la della salita vista solo dal punto di vista prestazionale.

Quando mi alzo sono circa le 5.00, una strana aria calda, avvolge la mia cucina, lo zaino e gli scarponi sono li pronti vicino alla porta, il resto del bagaglio lo porto dentro di me, ed è un bagaglio molto greve.

Il magone dell'ignoto, del so più o meno dove vado, ma non so cosa posso trovare… un senso di vuoto allo stomaco mi pervade, dovrei fare colazione, perché poi per tutto il giorno non si vedrà cibo, ma non salto dalla gioia, è una mattina rovescia…

Pilucco qualcosa, prendo lo zaino, carico gli scarponi e si parte.

Il senso di vuoto si sta trasformando in qualcosa di bello, una dolce sensazione di scoperta, di qualcosa di nuovo, il contatto con la nuda roccia, mai toccata, mi affascina e mi coinvolge, ormai sono in ballo e tanto vale ballare bene.

Vado all'appuntamento in un luogo non ben precisato, registrato in qualche piega del mio cervello, siamo in tre.

Prendiamo una macchina sola ovviamente, la strada è lunga e il solo panorama ci mette di buon umore, la giornata è semplicemente splendida.

Due vecchi amici di Grotta, uno è Stefanone, l'uomo del K2 mancato…, l'altro è Michelangelo, non lo scultore, anche se nei capelli forse gli assomiglia… un ragazzone, tutto d'un pezzo, alto 15-20 cm più di me, e vista la mia esile statura, rientra quasi nella categoria di persone medio alte.

In tarda mattinata arriviamo a destinazione, ad Entracque, sotto la possente bastionata della diga, spaventosamente gigantesca, risaliamo la stretta strada che ci porta alla seconda diga, lasciamo la macchina e iniziamo il lento salire verso la nostra meta, che si intravede tra la foschia dell'altitudine, il bivacco si trova a 2900 metri circa, siamo si e no a 2000 metri, 900 metri di salita ci attendono, nonostante l'altezza però il caldo si fa sentire, il sole ci sta cocendo a fuoco non troppo lento, avremmo bisogno d'acqua, ma la prima fonte è il rifugio Genova sul pianoro che incontreremo tra poco, un rifugio splendidamente incastonato a lato della diga, una volta servito anche da una comoda strada panoramica che saliva dal parcheggio dove abbiamo lasciato la macchina fino lassù, per i soccorsi e per rifornire il rifugio di tutti i generi di conforto, ma fondamentalmente era la strada utilizzata dai tecnici dell'enel per la manutenzione della diga, nei periodi estivi, per quelli invernali, esistono comodissime gallerie scavate nella montagna, che permettono ai tecnici di risalire fino alla diga anche in periodi invernali e primaverili, dove la neve è ancora presente in grande quantità.

La strada fino ad ora ci ha riservato solo un pochino di sete, adesso si inizia a salire sul serio, il largo sentiero è diventato un viottolo, stretto, che ci passano solo gli scarponi, da un lato la roccia, dall'altro il vuoto della scarpate che piomba a picco sulla diga, semi vuota, dopo un salto di circa 200 metri.

Si sale molto lentamente, gli zaini sono stracarichi di materiale, domattina vorremmo salire sulla cima Sud dell'Argentera.

Verso metà percorso c'è il passaggio cruciale, supportati da una catena, c'è un passaggio nel vuoto completo, 350 metri di volo almeno, e lo zaino è tremendamente sbilanciato, ti tira il corpo verso l'abisso, ci arpioniamo alla catena e lentamente guadagnamo la cengia al di là del salto.

Una stretta ed esile cengia di una ventina di centimetri, sospesa sul vuoto della diga, una breve pausa, qualche foto giusto per riprendere fiato, poi l'occhio ed il pensiero vanno a vedere cosa ci aspetta dopo…. Un ripidissimo sentiero parte dalla cengia e quasi in verticale si inerpica sul fianco della montagna per poi girare a destra, ma il problema non è salire, sarà poi scendere, visto il poco spazio per l'atterraggio sulla cengia prima del salto…. Dovremmo scendere con estrema cautela, per riuscire a fermarci sulla cengia, nonostante il peso dello zaino che verrà solo privato del peso della roba da mangiare, e a giudicare da tutto sarà veramente esiguo il peso da togliere.

Riprendiamo la salita, lo zaino sembra sempre più pesante, e una non tanto lieve brezza si è levata, non siamo più protetti dal costone roccioso, e stiamo risalendo su una instabile pietraia che tra grossi blocchi ci fa guadagnare qualche metro con notevole difficoltà.

Sono ore che stiamo camminando, il sole sta già sparendo, e tra poco sarà buio, il bivacco è ancora alto sopra le nostre teste, sembra avvicinarsi piano piano, ma resta comunque sempre lontano.

Iniziamo ad intravedere i primi animali, che a queste quote sono a casa loro, gli intrusi siamo noi, decine di stambecchi ci incrociano, spavaldi con il loro palco di corna, quasi socievoli, è difficile farli spostare, restano in attesa del nostro arrivo, poi a pochi metri, si spostano quel tanto da farci passare, per nulla intimoriti, anzi, per la troppa vicinanza siamo noi ad essere quasi intimoriti.

Il buio cala, siamo quasi vicini al bivacco, ma quel quasi è e resta per lungo tempo quasi…

Sempre circondati dagli stambecchi, ormai non ci facciamo quasi più caso, a meno di vederle apparire uno nell'oscurità che non avevi notato prima.

Vorremo arrivare, togliere il pesante zaino e poter riposare dopo la estenuante salita, le mie ginocchia e caviglie ringrazierebbero sentitamente.

Finalmente aggirando lo sperone su cui si trova ancorato il bivacco, arriviamo davanti alla porta e con notevole sorpresa scopriamo di non essere soli.

È bello vedere che ci sono ancora persone che vagano per le montagne,oltre a noi.

L'aria è fredda, nonostante noi non la sentiamo essendo ancora caldi per la salita, ma per evitare sorprese dopo, meglio provvedere ad un adeguato strato termico protettivo.

Sono le 22.00 circa, mangiamo qualcosa rincuorati dal fioco fiammeggiare di una piccola candela appoggiata al bordo del tavolo.

L'ambiente piccolo circa 2 metri quadri, eppure ci si dovrebbe stare comodamente in 9… molto comodamente, non ci sono stufe o altre fonti di riscaldamento, solo 2 piccole finestre fanno entrare l'eventuale luce, se lasciate aperte, altrimenti è una classica scatola di sardine, con più o meno sardine dentro (a seconda del numero di partecipanti al piacevole bivacco).

Il personaggio in questione che abbiamo incontrato è strano, molto strano viaggia da solo e parla di esperienze da evitare, soprattutto se sei da solo.

Viaggia senza niente, dorme utilizzando le coperte del bivacco, viaggia leggero, non ha piccozza, e vorrebbe salire al Gelas e attraversarlo totalmente per poi sconfinare in Francia, un tipo alquanto taciturno e del tutto poco socievole, ma la convivenza è comunque sufficiente a passare una discreta serata.

Verso mezzanotte usciamo al gelo, l'aria si è raffreddata parecchio, considerando anche che tra poco tempo qui sarà totalmente inagibile per parecchi mesi, il bivacco nonostante sia circa 2 metri, durante i mesi invernali, sparisce sotto la coltre bianca, e quindi resta praticamente inutilizzato per tutto il periodo della neve, a meno di portare una pala e aprirsi un varco per entrare, ma se la coltre bianca arriva come dicono a 5 metri, il giochino di scavo non è dei meno riposanti.

Fa freddo, ma lo spettacolo proposto dalla immensa vallata immersa nel buio, con le sole luci in lontananza, assume una caratteristica unica, abbassando lo sguardo le fioche luci del perimetro della diga ne delineano i contorni, il cielo è di un colore scuro, essendo buio, ma con strane striature, un enorme ometto di circa 2 metri si erge alla base del salto, punto di riferimento per chi sale dal basso, per identificare la posizione del bivacco da qualunque posizione, anche se la cupola rossa non fosse visibile, perché coperta dallo sperone di roccia.

Siamo stanchi, è era di prendere sonno fino a domani mattina. Che si presenta come una giornata campale.

La notte passa velocemente, le comode brandine appese al soffitto ti lasciano riposare, i russii dei componenti dell’allegra combriccola un pochino meno…

Il freddo è intenso anche dentro la scatola di sardine, ma il mattino arriva puntuale, è appena l’alba quando il nostro coinquilino solitario si prepara e parte verso la sua ignota destinazione, speriamo che gli vada tutto bene, mi lascia un pochino di angoscia la sua precaria situazione, ma l’ha scelta volontariamente lui…

Cordialmente ci saluta e sparisce dalla parte opposta da cui ci ha detto di essere salito.

Mi alzo anche io, è troppo bello per poltrire nel sacco a pelo…

La giornata si presenta radiosa, neanche una nuvola all’orizzonte, ci prepariamo per la salita alla sud dell’Argentera, ma dopo pochi passi intorno al bivacco, mi accorgo che il mio ginocchio sopporterebbe poco la sfacchinata della salita sulla cengia esposta della balconata sud, pertanto decido ancor prima che i miei compagni sollevino la testa dal sacco a pelo, che li lascerò andare soli, gli sarei solo d’impiccio, mi concederò un lungo giro intorno al bivacco e mi rilasserò a fare foto ai fumosi animaletti che popolano questa landa apparentemente desolata, ma invece pullulante di vita.

I due orsi si alzano, e ancora sonnecchianti escono dalla scatola di sardine per l’occasione dipinta di rosso…

Facciamo un’abbondante colazione, poi loro, a malincuore mi lasciano al bivacco e spariscono dietro al risalto dell’altipiano su cui si trova lo sperone del bivacco.

Con il mio potente 600 della macchina fotografica, cercherò di seguirne le tracce sulla parete, ma ben presto mi rendo conto che sarà difficile per non dire impossibile, le figure variopinte sulla parete si muovono numerose, e in lontananza sembrano tutte uguali, con giacca a vento rossa… colore molto inusuale per le giacche a vento da montagna, 5 persone su 10 ne posseggono almeno una…

Il sole è caldissimo, mi tolgo gli strati termici in esubero e inizio la mia caccia fotografica, ben presto nel mio obbiettivo appare un camoscio, che senza aver rilevato la mia presenza sta tranquillamente risalendo le roccette, verso il bivacco, ma appena si accorge della mia presenza scappa via con una velocità impressionante, ma resta impresso in un paio di scatti., poi è la volta degli ermellini, che qui la fanno veramente da padroni, il problema che si muovono talmente veloci che resta un miracolo riuscire a fermarne uno sulla pellicola,, con la loro livrea estiva marrone bianca sfrecciano da una pietra all’altra, passando per lo spazio in mezzo alla velocità del fulmine.

Adotto lo scatto al volo, qualche foto riesce, altre resta solo una scia con le zampette che corre…

Le ore passano, il sole è sempre più cocente, decido di muovermi un pochino, risalgo il risalto e mi perdo nelle piccole vallette, circostanti, tenendo sempre d’occhio il piccolo barattolo rosso adibito come bivacco.

Dopo un po’ torno sui miei passi, e trovo uno stambecco nel frattempo che si è insediato all’interno del bivacco e non ha intenzione di uscire, ho lasciato la porta aperta perchè il locale all’interno prendesse un pochino di aria fresca e l’ambiente stantio per i tanti mesi chiuso si rinfrescasse.

Finalmente riesco a far uscire il curioso essere cornuto, che con i suoi strani occhi sembra voglia mangiare qualunque cosa penzoli vicino alla sua bocca…

Gli stambecchi visti da vicino hanno gli occhi strani, sembrano quasi pieni con una strisciolina al centro, una specie di fessura tipo i gatti, ma meno intensa, strana…

Inizio le pulizie del bivacco, visto che il tempo non mi manca e non è ancora ora di pranzo.

Ogni tanto guardo con la macchina fotografica la vetta dell’Argentera, ora pullulante di puntini che si agitano come moscerini vicino alla marmellata, ma dei mie compagni non riesco a identificarne neanche uno.

La storia del Francese che voleva da mangiare, ma voleva poter scegliere, ve la risparmio…

Nel frattempo arrivano 2 sposini, lei molto carina, si mettono a mangiare poco distante dal bivacco, e poi proseguono la loro salita verso il colle a sinistra dell’Argentera.

Nel pomeriggio però verso le 15,00 una veloce nuvola scura arriva all’orizzonte e nel giro di un’ora ha quasi coperto tutto il cielo.

Sembra di stare in un condominio, e il cielo plumbeo sia il soffitto, che si abbassa sempre di più stringendoti in una morsa tra la terra e il cielo.

Dei due arrampicatori nessuna notizia, nè alcun riconoscimento sulla parete, dopo aver salutato i nuovi visitatori che nel frattempo si erano trascinati fino lassù per una via diversa dalla nostra, inizio la discesa, essendo da solo e comunque molto lento dovuto al problema al ginocchio e alla mia precaria stabilità sulle roccette della pietraia,

Lo zaino come un macigno mi schiaccia e la discesa è massacrante, adotto un bastone per sorreggermi durante il passaggio tra un pietrone e l’altro, ma la situazione resta comunque notevolmente instabile.

Poco dopo di me erano partiti anche 4 componenti del CAI di Genova, che ben presto mi raggiungo e mi superano in scioltezza, distanziandomi notevolmente, cerco invano di tenere il loro passo, ma in discesa, è impossibile, tenendosi un certo margine di sicurezza, e qui né occorrerebbe anche un pochino di più un errore nel punto sbagliato e non ci sono rimedi…

Arrivo al passaggio sulla cengia, per sicurezza, mi lego, ho la macchina fotografica e il pesantissimo teleobbiettivo che mi sbilancia notevolmente, l’ho tenuti fuori con la speranza di incontrare ancora qualche animale, ma in alto chi poteva si era già messo al riparo dall’imminente pioggia.

Il cielo nel frattempo era ulteriormente sceso, coprendo con le nuvole la cima dell’Argentera, e continuando a scendere verso il bivacco.

Passata la cengia e lo strapiombo con il passaggio esposto, il sentiero si dipanava sull’ultima parte della parete, ripido, ma ormai era quasi sicuro.

Ben presto guadagno la quota della diga, e riesco ad arrivare al rifugio Genova, dove mi ricordo che sono le 16, 30 e che io devo ancora pranzare…molto sbadatamente cerco qualcosa da sgranocchiare per occupare l’attesa di Stefano e Michelangelo, una lunghissima attesa, visti i presupposti, nessuno si vede, e al bivacco nulla è cambiato nelle ultime 2 ore di discesa.

Unico sentore e campanello di eventuale cambiamento, è che i due ospiti del bivacco, che erano restati ancora all’interno dopo la mia discesa, andando via hanno lasciato la porta del bivacco aperta, fatale errore o dimenticanza loro,che io sfrutto con astuzia, pensando a Stefano e Michelangelo, non lascerebbero mai un bivacco a 2900 metri con la porta aperta, tantomeno prima di un imminente temporale di quelli da favola… , per cui non essendo salito nessun’altro dal questo versante, ed essendo ormai gli unici che scenderanno da questo lato della montagna, molto presumibilmente quando la porta del bivacco sarà chiusa, sarà un tangibile segno del loro passaggio in discesa, e dopo un’ora e mezza ottimisticamente mi avranno raggiunto, viaggiando molto più velocemente di me in discesa. (anche in salita….)

Gli zaini dei miei compagni erano restati al bivacco, non potevo portare tutto io a valle, confidavo vivamente in questi miei pensieri per poter essere tranquillo del loro passaggio in discesa.

Nell’attesa, essendo una lunga attesa ho iniziato a perlustrare i dintorni del rifugio, che sorge su un altipiano di fianco alla possente diga.

Non lontano dal rifugio scorgo le evidenti tracce di un ungulato che più o meno regolarmente scende a fare visita al rifugio, forse attirato dal cibo, forse per mancanza di cibo in alto, dopo un giro molto largo riesco anche a vederlo, è una specie di daino, non troppo piccolo, ma neanche un esemplare grande.

Appena mi vede in lontananza scappa e si nasconde tra le asperità della spianata, e scompare alla vista.

Devo tornare, allo zaino il vento si è alzato molto forte e il freddo è diventato veramente intenso, al punto che devo mettere uno strato ulteriore e il berretto di lana.

A tratti utilizzo persino i guanti, causa la mia poca attività durante l’attesa e per controllare con il teleobbiettivo il bivacco lassù il mio campo di movimento perimetrale è molto ristretto, ho un grosso costone della montagna che mi inibisce la visuale sulla parete se mi sposto di tanto.

Sono quasi le 18,00 e nulla si è ancora mosso lassù… una sorta di preoccupazione, mista al tempo sempre peggio mi induce ad essere sulle spine… non può essere andato storto qualcosa, era una salita semplice… cosa cavolo stanno combinando lassù? Parlo persino con la guida del rifugio e insieme conveniamo che aspettiamo ancora un’ora, poi eventualmente saliamo a dare un’occhiata.

Il bivacco adesso è appena percettibile, le nubi, lo stanno per avvolgere, a volte una lieve velatura causata da una nuvola sottile gli passa davanti e lo rende invisibile, ma passa e va…

La porta si è chiusa!!!

La porta del bivacco lassù è chiusa, riguardo per essere sicuro, da quaggiù il bivacco è poco più di un puntino, è veramente chiusa. Buon segno?

Saranno loro ad aver chiuso la pesante porta del bivacco?

Chissà…

Dopo circa una decina di minuti di attenta osservazione della parete, intravedo due puntini che tra un sasso e l’altro della pietraia stanno scendendo a grandi balzi, sono sicuramente loro.

Rincuorato da questa vista, mi rilasso e nel freddo della giornata, mi preparo a prendere meno acqua possibile, di andare nel rifugio non se ne parla.

Quando li vedo passare sulla cengia esposta, circa un’ora dopo, la voglia di riparlare e sapere cosa è successo è tale che mi incammino verso di loro ripercorrendo il sentiero in salita, naturalmente senza zaino….

È restato protetto sotto il telo impermeabile vicino al rifugio.

Dopo una ventina di minuti li incontro finalmente, la gioia è tanta e le spiegazioni alle mie domande non tardano…

Hanno trovato traffico… paradossale, c’erano troppe persone sulla parete, e hanno dovuto attender e il loro turno per passare lungo le vie obbligate.

L’importante ora è essere tutti insieme per poter procedere, il tempo è veramente scuro, quasi nero, e la discesa verso valle mi pare un’ottima soluzione, il prima possibile.

Ci fermiamo a bere una birra dal gestore del rifugio Genova e poi via, verso quella che pensavamo fosse la semplice strada del ritorno, se non chè...

Sono le 20.00, è ormai buio, qualche goccia di pioggia ha già bagnato i nostri indumenti, ma per ora la tregua pare reggere ancora…

La vecchia strada dell’Enel tanto decantata all’inizio, circa un anno fa a nostra insaputa è stata interessata da una, meglio da una serie di frane, che hanno interessato tutto il versante della montagna e di conseguenza anche la strada ha subito qualche piccola variante…., ben 9 frane lungo l’arco della montagna hanno distrutto irrimediabilmente la strada, ed essendo la strada a tornanti con curve 180 gradi, la stessa frana la ritrovavamo ripetuta nel tornante sottostante, e così via fino al parcheggio dell’auto.

Aggirare una frana di quelle proporzioni significava passare blocchi di roccia delle dimensioni di una casa bifamiliare, con passaggi nel vuoto, a strapiombo sul versante successivo che a sua volta era a strapiombo sulla diga sottostante, molto divertente, se inoltre aggiungete la totale mancanza di luci, avendo esaurito quasi totalmente le batterie delle torce frontali, e la luce disponibile non superava i 2 metri, potete immaginare la situazione, alcuni passaggi erano tanto stretti che lo zaino non passava, occorreva inventare il sistema più rapido e non sempre sicuro per aggirare gli enormi blocchi non sempre stabili,

spesso anche il non poter illuminare era utile per non vedere dove dovevamo passare, anche se se ne intuiva benissimo lo scenario...

Velocemente anche per non diventare pulcini bagnati, mi sarebbe spiaciuto in questa situazione essere anche sotto la pioggia, ma l’avremmo presa di buon grado lo stesso, come sempre…

Tornante dopo tornante anche la discesa da questo labirinto di massi instabili è giunta al termine e le fresche acque della diga naturale di fianco al parcheggio, increspandosi sotto l’effetto del vento che nel frattempo non ha mai cessato la sua attività, ci lascia sentire tra una folata di vento e l’altra il rumore delle sue acque che nell’oscurità si sentono, ma non si vedono.

Un veloce pasto visto che sono già le 23,00, poi saliamo in macchina, destinazione casa.

Il ritorno è pregno di ricorsi, sensazioni, emozioni provate e condivise, la strada corre veloce sotto le ruote, ma prima delle 4.10 non poggio il piede dentro la soglia di casa… e domattina in ufficio… non ci voglio pensare… Stefanone che sarà l’ultimo ad arrivare toccherà il letto verso le 6,30.

Povero Stefano (poveri anche i suoi genitori, che lo stanno aspettando alzati…).

Non era previsto un ritardo così clamoroso.

...Alla prossima avventura.

Bi

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