KURT DIEMBERGER:
Cominciamo a presentare l’autore:
Kurt Diemberger è nato a Salisburgo in Austria nel 1932, ma da molti anni risiede a Calderino di Monte S. Pietro (Bologna).
Alcuni cenni storici importanti per inquadrare il personaggio:Unico alpinista vivente ad avere 2 Prime sugli ottomila.
L’altro alpinista che potrebbe vantare questo primato è il mitico Hermann Buhl, scomparso sul Chogolisa nel 1957, proprio con Diemberger, durante il tentativo della vetta dopo aver raggiunto la vetta in prima assoluta del suo secondo 8000 il Broad Peak (8047 m.) insieme a Diemberger e Wintersteller and Schmuck, oltre al Nanga Parbat (8125 m.) raggiunto in solitaria nel 1953, persino contro il volere del suo capo spedizione Karl Herrligkoffer.
Diemberger poi raggiunse la vetta del Dhaulagiri (8167 m.) in prima assoluta senza ossigeno nel 1960 con lo sherpa
Nawang Dorjee, Nima Dorjee e Diener, Forrer, Schelbert, Il 23 maggio fu la volta di Weber e Vaucher.
Personaggio di elevata sensibilità particolarmente legato al K2, montagna che lo ha stregato dal primo momento che la vide, Montagna che nel 1986 gli portò via la sua compagna di salite l’inglese Julie Tullis, insieme ad altri 4 alpinisti che si trovavano oltre quota 8000 e una bufera di neve li bloccò e morirono disidratati e per edema cerebrale.
Lo stesso Diemberger riportò gravi conseguenze per il congelamento delle mani e piedi, perse un dito della mano.
È stato uno dei primi a portare in Imalaya lo “stile alpino Occidentale” (inventato da Buhl) e le salite senza ossigeno, stile che consiste nel portare sulle proprie spalle tutto il materiale necessario per allestire i campi avanzati sulla montagna da scalare senza l’uso di portatori e l’installazione di corde fisse preventive.
Per una coincidenza sfortunata, anni fa ho perso un’occasione di conoscere Kurt, era venuto vicino al mio paese a tenere una conferenza e la proiezione di alcune delle sue memorabili diapositive e a raccontare qualche suo pezzo di vita montana e non…
Unico alpinista straniero che possa vantare di essere stato insignito del titolo di “socio onorario del CAI ” (Club Alpino Italiano).
Ha scritto molti libri, nei quali racconta le sue esperienze, la tragedia del 1986 sul K2, dedicandogli un libro intero, “K2 il nodo infinito”.
Ha scritto anche
- “Gli spiriti dell’aria” edito dalla Vivalda editore.
- “Tra zero e ottomila” Mondatori editore
- “K2 il nodo infinito - Sogno e destino” che ha vinto il premio Itas per la letteratura di montagna.
Nel 1978 è salito sull’Everest, realizzando il primo film con sonoro sincrono dalla vetta. All’Everest è tornato poi per realizzare il film “A due passi dalla cima” sul tentativo all’inviolata parete Est, per il quale gli è stato assegnato un “Emmy”, il prestigioso premio americano.
Ripetutamente è tornato al K2, dove ha realizzato quattro film.
Anche qui nel 1989 ha vinto la Genziana d’Oro al Filmfestival di Trento con il film “K2 – sogno e destino”.
Veniamo adesso al suo libro : K2 - Nodo Infinito – Sogno e destino.
Di cosa tratta il libro…
K2 - Nodo Infinito – Sogno e destino
Kurt DiembergerKurt è particolarmente legato al K2, ne è rimasto affascinato la prima volta che lo ha visto, probabilmente già nel 1957 quando con Hermann Buhl salì sulla cima del Broad Peak (8047 m.) in prima assoluta.
Il K2 è nella valle del Karakorum davanti al Broad Peak, i due rispettivi campi base distano circa 1 ora di marcia uno dall’altro.
Rivide la magica piramide diverse volte, soprattutto da quando con Julie Tullis erano diventati il team delle riprese in alta quota, anche lei ammagliata dalla sua forma, e insieme avevano deciso di salirne la vetta, scoprendone i segreti, cercando di appagare quella sete smisurata per quella montagna simbolo.
Con i Suoi 8611 metri il K2 è la seconda vetta della terra, superata solo dall’Everest 8850 metri; considerando le terre emerse… per appagare la vostra curiosità… (Nelle isole Hawaii, l'isola maggiore dell'arcipelago è quella che gli da il nome: Hawaii. È la più grande isola vulcanica del mondo dopo l'Islanda ed il Manua Kea, che prende il suo nome dalla neve che ne ammanta la cima, con i suoi 4205 metri sul livello del mare, sommati a quelli sotto di esso è la montagna più alta del mondo); ma il k2 è la più difficile montanga fra gli ottomila (sicurmante ci sono montagne particolarmente difficili sotto la quota 8000, ma sul K2 oltre alle difficoltà oggettive delle sue pareti a picco, occorre tenere conto, e non è poco il fattore altitudine), per cui si potrebbe veramente ipotizzare che possa essere la vetta più difficile al mondo (dipende anche da che parete si sta cercando di scalare… non tutti i lati sono uguali…).
Con la sua forma a piramide sommitale rappresenta un avversario decisamente duro per chi ha deciso di cercarne la vetta.
Il libro racconta alcuni episodidi questi momenti, in cui la coppia, molto affiatata in senso alpinistico…ha cercato di avvicinarsi alla cima, ma per un motivo o per l’altro hanno sempre dovuto desistere.
Hanno fatto moltissime riprese alla montagna e al suo strano popolo che periodicamente ne colonizza le pendici… salendo e scendendo dai vari campi avanzati attrezzati sulle sue pareti, filmando le fasi della preparazione alle salite.
Finalmente nel 1986, riescono ad organizzare una psedizione per tentarne la vetta; oltre alla preparazione fisica infatti occorre anche avere la fortuna che il governo pakistano decida di concedere il visto e l’autorizzazione alla salita, altrimenti come è capitato a tanti alpinisti, devono rinunciare alla spedizione per un cavillo burocratico insormontabile.
In quell’anno (1986) al campo base ci sono una serie di alpinisti illustri, Renato Casarotto la moglie Goretta Traverso, per il tentativo di una solitaria di Renato alla vetta per lo sperone Sud Ovest.
C’erano anche Il ligure Gianni Calcagno e mi sembra di ricordare anche Tullio Vidoni, due fortissimi alpinisti che purtroppo hanno già lasciato la loro vita in montagna, Calcagno ne l1992 in Alaska sul Mc Kinley, Vidoni sulla Est del Monte Rosa.
La popolazione al campo base è talmente alta che sembra di essere al mercato in una grande città… Kurt e Julie decidono di piazzare la tenda leggermente fuori dal caotico viavai di tute colorate.
Le riprese continuano giorno dopo giorno, ma la montagna non contenta di tutta quella gente… non è dell’umore giusto quell’anno…non è propizia a lasciare salire gli scalatori.
Una Grossa valanga si stacca dallo Sperone Abruzzi trascinando con sé 2 alpinisti inglesi e tutti i campi avanzati che erano già stati installati sulla sua parete da quel lato… bisogna riprendere a installare nuovamente tutti i campi, trasportando tutto il nuovo materiale, e farlo in fretta la stagione del monsone sta per arrivare… e non attende i comodi degli alpinisti…
La montagna diventa ostile, Renato Casarotto sta salendo verso la vetta, ma per il brutto tempo decide di tornare sui suoi passi…è troppo pericoloso tentare la cima con queste condizioni atmosferiche instabili, la vetta non è visibile e gran parte della montagna è immersa nella nebbia.
Qualcosa va storto… forse un ponte di neve cede sopra un crepaccio nel momento in cui Renato sta attraversandolo… Renato cade…sarebbe morto se non fosse che dal campo base qualcuno che stava seguendo le varie fasi sulla montanga non si accorgeva che un puntino sullo sperone Abruzzi è sparito improvvisamente, ed essendo forse l’unico alpinista sulla montagna, si precipita da Goretta per informarsi, senza lasciar ancora trapelare nulla, quando è stata l’ultima volta che ha sentito Renato e dove si trovava… Lo chiamano ripetutamente con la radio e molto flebilmente Renato risponde dal fondo del Crepaccio… la situazione è grave, immediatamente viene approntata una squadra di soccorso che nonostante il tempo sale il versante della montagna in aiuto a Renato Casarotto, della squadra fanno parte anche Kurt Diemberger e Gianni Calcagno.
Due ore e mezzo dopo sono sul posto, e stanno faticosamente recuperando Renato, che versa in gravissime condizioni, causa le fratture procuratesi durante la caduta e l’intenso freddo patito sul fondo del crepaccio, il suo fisico nonostante sia eccezionalmente forte, è debilitato al punto che muore tra le braccia dei suoi soccorritori.
Viene riadagiato sul fondo del Ghiacciaio, come degna sepoltura di un grandissimo alpinista che aveva fatto della montagna la sua vita, il suo lavoro, la sua passione, il suo Amore.
Restano mitiche le sue salite su roccia e ghiaccio, le sue vie aperte sulle Dolomiti e sul Cerro Torre in Patagonia e in tantissime altre pareti nel mondo.
…Ma la montanga non ha ancora esaurito la sua sete di vittime…
Dopo una tempesta ritorna finalmente il sereno, ma la situazione è strana quell’anno… gli anticipi del monsone sono premonitori?
Molte spedizioni, in verità quasi tutti quelli restati al campo base, cercano di salire nello spazio lasciato dal bel tempo, e partono alla volta della cima.
Sono in molti sulla montagna e ci sono anche Kurt e Julie; che piano piano riprendendo con la telecamera anche le altre spedizioni iniziano a salire campo dopo campo… arrivano finalmente all’ultimo campo a quota 8200 metri, e la mattina successiva partiranno per la vetta da soli.
Il giorno seguente, mentre loro stavano ancora salendo e la distanza da percorrere era ancora tanta, altri alpinisti stavano già scendendo… ma il tempo era bello e Kurt e Julie decidono di salire.
Arrivano in vetta, finalmente, sono felicissimi di aver coronato il loro sogno, salire e toccare la cima del K2 la loro montagna…
L’orario però non è a loro favore, sono ancora oltre gli 8400 metri che tutto diventa buio… le lampade frontali non funzionano poi benissimo…nella discesa Kurt cade in un crepaccio, e a forza di ramponate sulla parete dello stesso e aiutandosi con la piccozza, e lievemente tirato da Julie riesce ad uscire… Lievemente aiutato, perché dopo i primi strenui tentativi di Julie di cercare di recuperarlo con le sule sue foeze sono risultati vani, anzi il peso di Kurt stava letteralmente trascinando nell’abisso del crepaccio anche lei…
Cercano riparo per la notte a 8400 metri, la notte è stellata niente bufera, poco vento ma un freddo molto intenso, come tutte le notti stellate…
La notte passa senza grosse conseguenze…i due scendono verso gli 8200 metri dell’ultimo campo, il tempo cambia…una nuova perturbazione investe la montagna e una fitta nebbia con temperature polari si abbatte sulla parete dove si trova il campo… Kurt e Julie e altri 6 alpinisti restano bloccati a 8200 metri con il poco materiale e cibo che resta… l’attesa per un miglioramento dura 4 giorni…la tempesta non si è ancora placata, ma la sutazine è critica, il gas dei fornelli è finito, e con esso anche la possibilità di sciogliere la neve per poter ingerire liquidi tanto importanti per evitare la disidratazioen a quelle quote… e a temperature di 40 gradi sottolo zaro, nessuna sostanza commestibile resta allo stato liquido.
A questa già tragica situazione si aggiungono i congelamenti che gran parte degli alpinisti lamenta e l’edema cerebrale, che ha colpito alcuni del gruppo, oltre i 7900 metri il processo degenerativo delle cellule del corpo umano è accelelrato e l’aggravarsi della situazione con la formazione di liquido sotto la calotta cranica fa si che il cervello resti schiacciato dal liquido perdendo ogni facoltà intellettiva e di movimento, l’unica soluzione, a parte alcuni farmaci che rallentano la coagulazione del sangue, è quella di scendere di quota, ma l’alpinista colpito deve essere almeno in grado di camminare e deve essere prontamente effettuato ai primi sintomi.
Niente di tutto questo è stato fatto nei 4 giorni.
Kurt e Julie si trovano anche in tende diverse, e Julie morirà senza Parlare con Kurt, a causa del venti le comunicazioni tra una tenda e l’altra erano letteralmente inibite.
Vista la situazione e il non miglioramento del tempo Kurt e altri 2 alpinisti malconci, ma ancora lucidi decidono di scendere a tutti i costi, sarebbero morti comunque se restassero li; si rammaricano di dover abbandonare alcuni compagni che ancora respirano, ma sono in coma da parecchi giorni e salvarli sarebbe impossibile.
5 alpinisti su 8 resteranno a 8200 metri morti o in condizioni disperate.
I tre scendono faticosamente dalla montagna e si rendono conto che la cappa di nebbia incombe solo fino ad una certa quota il resto della montagna è sgombro e in discrete condizioni… arrivano al campo base in condizioni pietose, dove ormai nessuno sperava di vederli tornare, erano stati dati per morti tutti.
Vennerò immediatamente curati per l’oftalmia causata dal forte riverbero del bianco della neve e per i congelamenti riportati, Kurt perse un dito della mano e riportò gravi congelamenti ai piedi, che lo perseguiteranno nelle sue successive spedizioni.
Julie era restata a 8200 metri dell’ultimo campo a guardare per sempre la loro montagna.
Bi
(Presente anche su www. ciao.it)
Nessun commento:
Posta un commento