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martedì 12 febbraio 2008

Il volo della martora (Mauro Corona)

Ho finito di leggere l'ennesimo libro di Mauro Corona.
Il suo spirito è sempre pervaso dalla nostalgia, per la sua infanzia, per la sua vita vissuta prima del 9 Ottobre 1963, quando alla sera Il Monte Toc precipitò nella diga del Vajont causando più di 2000 morti e la devastazione complet adi un mondo arcaico, basato sul duro lavoro dei campi in montagna, fatto di boscaioli, fatto di persone vissute ai margini del progresso, che si sono lasciati sopraffare dall'ingordigia di aver qualche soldo in tasca, senza fare troppa fatica, dell'inettitudine delle persone di cità che pur di guadagnare, hanno sorvolato le sicurezze e i segnali che la montagna e la natura corcostante ha mandato innumerevoli volte.
Un'onda che ha spazzato via un mondo, sia piante animali, persone, tutto quello che non era saldamente ancorato al terreno, e in molti casi anche quello, ha resistito solo quello che opponeva poca resistenza; ma soprattutto, cosa peggiore, ha spazzato via la voglia di vivere come prima, i sopravvissuti sono stati sfollati dai paesi per anni, in cui hanno vissuto con i sussidi e le sovvenzioni di quel mondo esterno che per mettere una pezza al danno fatto, ha creato una situazione ancora peggiore.
Le persone vivendo senza fare quasi nulla, hanno preso a bere per affogare quello che l'acqua non aveva affogato, il dispiacere delle perdite sia di vite umane che di terreni, raccolti, ecc.
La cosa tremenda che anche le abitudini e le tradizioni stanno scomparendo, le vecchie usanze che un popolo vissuto secoli in montagna aveva stanno scomparendo lavate dal flebile ricordo del passato.
Nei libri di Mauro Corona il tema del Vajont è perennemente presente, come un'ombra cupa che aleggia tra i personaggi dei suoi racconti, molto spesso si tratta appunto di personaggi che sono stati spazzati via dalla furia dell'acqua, personaggi semplici che vivevano una vita di stenti, fatta di immensi sacrifici, ma una vita serena, fraterna all0interno di una comunità chiusa, come chiusa e stretta è la valle del Vajont.
In questo libro non si parla molto di arrampicate in montagna, visto che Mauro è un ottimo rappresentate di questa specialità, ma soprattutto viene raccontato il lato umano di queste figure quasi fiabesche che si muovono grazie alla sapiente spiegazione dell'autore.
Le piante stesse assumono un ruolo vivo e di protagoniste di narratori di storie nel silenzio delle radure dei boschi.
Storie di vita vissuta anche in prima persona, le stess eche si possono trovare anche in altri libri, proprio per questo sono maggiornmente autentiche e permeate di una vitalità particolare, pur ssendo le stesse storie, non sono mai raccontate con le stesse parole, vengono spesso viste sotto luci diverse, mettendo in evidenza questo o quel determinato particolare che fa risaltare quello che l'autore vuole far passare al futuro lettore.
Sono storie semplici, non raccontano di eroi della montagna che scalano vertiginose pareti inviolate, racconta di una vita vissuta stoicamente ai nostri occhi, vissuta sudando ogni cosa,
se avevano bisogno di Sabbia, per esempio, non chiamavano per telefono e ordinavano qualche metro cubo di sabbia con un camion, prendevano una gerla rivestita di panno e scendevano al fiume, la riempivano e la riportavano indietro sulle spalle...
provate a reggere una gerla piena di sabbia, e poi ne riparliamo... se avevano bisogno di sassi o altro andavo a prenderli dove sapevano di trovarli e nelo stesso modo tornavano a casa.
Tutto questo fino al 9 Ottobre 1963...
poi un'onda ha spazzato tutto.

Un libro profondo, da leggere sicuramente, il linguaggio semplice ed efficace arriva al cuore, proprio dove Mauro vorrebbe arrivare.

Buona lettura a tutti
Bi

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