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Con nuovi racconti e nuove avventure...

martedì 12 febbraio 2008

In terre Lontane (Walter Bonatti)

Walter Bonatti, personaggio particolarmente eclettico, Alpinista sublime, ha effettuato solitarie eccezionali e ancor oggi poco o addirittura mai ripetute, in condizioni particolarmente critiche, in invernale; ha partecipato alla spedizione italiana alla conquista del K2 del 31 Luglio 1954, in cui ha avuto un ruolo fondamentale, riconosciuto solo quest’anno in occasione dei festeggiamenti del cinquantenario della salita da parte di Lacedelli e Compagnoni.

Personaggio che dopo la delusione del 1954, ha effettuato alcune salite mitiche, a tal proposito vi invito a leggere la mia opinione sul fatto del K2 “la conquista del K2”; dopodichè si è dedicato ad altre attività ottenendo notevoli risultati anche come esploratore, avventuriero e scopritore di nuovi mondi, subacqueo, anche qui sostenendo sempre prove particolarmente difficili, vivendo in condizioni essenziali per la sopravvivenza in quei luoghi.
Personaggio Vero ed autentico, che vuole vivere le esperienze della vita, così come la natura le propone, senza falsità o pressanti artifici della vita moderna.
Vero al punto di cercare di vivere il contatto con la natura e i suoi animali anche i più feroci senza nessuna arma di difesa, solo l’istinto e il buon senso che gli veniva in quel momento.
Personaggio strabiliante, ogni cosa che ha fatto l’ha sempre fatta al meglio, non cercando la gloria o l’impresa.

Ho trovato questo assaggio del libro su internet.

Leggete lo stile e se vi convince io vi consiglio di leggere questo vero ed autentico personaggio, che scrive in un linguaggio chiaro e pulito, raccontando le sue grandi imprese, viste soprattutto dal lato interiore dei sentimenti provati, non tralasciando la descrizione dei luoghi incontrati di rara bellezza.

Indice

7 Vivere d'avventura. Premessa
23 Klondike: sulla via dei cercatori
d'oro (1965)
33 2500 chilometri in canoa, solo (1965)
75 Sull'isola dei grandi orsi kodiak
(1965)
89 Con le tribù masai (1966)
97 Nel mondo dei coccodrilli (1966)
113 Solitario tra bufali e leoni (1966)
141 I varani della preistoria (1968)
153 Io e la tigre, per quaranta giorni
(1968)
181 Krakatoa, sui resti di un cataclisma
(1968)
191 Nel «Centro Rosso» dell'Australia
(1969)
191 Le magiche cupole
198 Attraverso il grande deserto
salato
211 Un paradiso subacqueo (1967-1969)
219 Sulle orme di Melville (1969)
233 L'isola di Robinson Crusoe (1970)
239 Ai confini del mondo (1971)
239 Capo Horn
249 Nei fiordi patagonici
256 Una solitudine di gelo
264 In canotto fino all'oceano
275 Disavventure sull'Aconcagua (1971)
285 Nyiragongo, discesa nell'infemo (1972)
295 Nelle foreste dell'Orinoco (1967 e
1973)
319 Tra i primitivi, appunti di viaggio
(1972 e 1974)
319 Nel mondo dei pigmei
329 Irian Jaya, anno zero
339 Sulle terre alte della Guayana - Auyán
Tepuy (1975)
363 L'Antartide dei miei ricordi (1976)
387 Alle sorgenti del Rio delle Amazzoni
(1967 e 1978)
387 L'Amazzonia in sintesi
393 La sorgente scoperta
400 Lungo il grande tributario

Pagina 7
Vivere d'avventura. Premessa

Posso dire di aver passato gran parte della mia vita a contatto con le più genuine e forti manifestazioni della natura. Nel clima dell'azione, affrontata il più delle volte in solitudine, sempre comunque restando fuori dalla caotica e ottenebrante quotidianità del sociale, ho sentito spesso il bisogno di interrogarmi, di meditare su varie cose. Prima di tutto sull'estremo bisogno che l'uomo ha di ritornare alla propria dimensione di essere umano, essendone uscito in qualche misura, e sulla necessità che tutti abbiamo di assumere un rispettoso, giusto atteggiamento di fronte alla grandezza e unicità della natura. Questo vorrei riuscire a comunicare attraverso il racconto delle mie esperienze.
Quando si è molto giovani capita di non sapere bene chi si è e che cosa si vuole dalla vita. Indubbiamente però noi tutti disponiamo di un misterioso filo conduttore che prima o poi finirà per farci scegliere ciò che per indole è già latente in noi, e servirà a costruire la nostra personalità.
Ero ragazzo e dalla Pianura Padana dove per qualche anno ho vissuto, guardavo la linea azzurrina dei monti lontani sull'orizzonte. E sognavo. Per me quelle cime rappresentavano l'«insormontabile», e tuttavia erano di modesta altezza. Amavo molto starmene per ore intere a fantasticare sulle rive del Po. Là c'erano distese di sabbia e la grande corrente. Nella mia testa ne facevo dei deserti e degli oceani. Quando si è piccoli queste cose sembrano talmente vaste. Abitavo dunque sulla riva emiliana del fiume, e ricordo che per gioco andavo a nuoto con i miei amici sull'altra sponda, quella lombarda, attraverso le difficoltà della grande corrente. Per noi era l'avventura. Seduto su quelle rive sabbiose viaggiavo con il pensiero a cavallo di un pezzo di legno portato dal fiume. Arrivavo così ai mari, all'Est e all'Ovest, e fino agli oceani. Sì, su quelle sabbie sono cresciuto, sognando. Il Po era il mio mare, le sue boscaglie le grandi foreste, e le secche i miei vasti deserti.

Pagina 89
Con le tribù masai (1966)

Gli animali selvaggi mi affascinavano, lo scoprivo ogni giorno di più da quando avevo concluso la mia avventura alaskana. Mi sorprendevo spesso rapito dai ricordi, in cui rivedevo con il pensiero questi incontaminati figli dei vasti orizzonti, signori assoluti dell'immenso Nord, dove in un clima di incanto avevo fatto la loro conoscenza. Infatti il lupo, l'orso, l'alce e il castoro, con il loro mite e accattivante comportamento, avevano fatto sì che io potessi cogliere alcuni preziosi momenti colmi dei loro antichi segreti. Fu da allora che si localizzò in me il come e il perché mi sarei ancora avvicinato in futuro ad altre specie selvagge sparse sulla Terra. L'avrei fatto se non proprio allo scopo di giungere a comunicare con il mondo animale, almeno a quello di riuscire a evitare con esso un fraintendimento. Ecco lo spirito con cui mi accingo, nell'aprile 1966, a entrare nelle foreste e nelle savane dell'Africa orientale, rimaste fino allora il dominio delle grandi specie selvagge.
Come prima esperienza mi ero aggirato per un paio di settimane in carovana con i kikuyu nella selva ancora intatta del Meru: una tra le più fitte e tenebrose della Tanzania. Ero poi passato nelle sterminate praterie delle tribù masai, sugli altipiani di Murja dove, accolto in un loro umile villaggio fatto di sterco di mucca, avevo passato un certo tempo. Per non fare torto a Kone Ole Sendéo, il capotribù che mi ospitava, avevo finito per nutrirmi del loro stesso cibo a base di latte fermentato nel sangue bovino. Ma devo aggiungere che ciò avvenne con non facile adattamento per me.
Pagina 113
Solitario tra bufali e leoni (1966)
Pagina 122
L'alba è ancora lontana, forse un'ora, quando nella notte torna a risuonare una serie di vigorosi ruggiti. Sono così potenti e vicini da dare l'impressione, e Dio sa se non è vero, che il terreno vibri sotto di me. Ricado nell'angoscia e mi rannicchio ancor più, fino a volermi annullare. Poi... un silenzio improvviso, cupo e penetrante. È il silenzio che precede l'inatteso, un silenzio assoluto, totale, gravido di minaccia. Ogni cellula del mio corpo infatti la avverte. Fisso l'oscurità di fronte a me, ma non vedo nulla. Dall'avvallamento qui vicino giunge adesso un lieve fruscio e il tonfo sordo di una pietra rovesciata. Ecco, mi dico, il leone viene nella mia direzione. Conosco il valore dell'immobilità da queste parti, perciò non compio il minimo movimento. Rallento anche il respiro, fino a trattenerlo in alcuni momenti nello sforzo di percepire anche il più tenue rumore, la più piccola mossa. Ma non succede nulla di nulla. Mi domando per quanto tempo ancora potrò reggere a questa tensione. Intanto il fuoco si è ridotto un'altra volta a mucchio di cenere con un cuore purpureo di braci.
Passa altro tempo in cui resto inerte, oso appena respirare. Poi a un tratto, dal lato del fiume, ecco un rauco e sordo brontolio, sempre più nitido. A questo punto ho uno scatto, e getto convulsamente l'ultimo grosso ramo. sulla brace. Ma non prende fuoco. Il brontolio è sempre più vicino e io mi faccio sempre più stretto intorno alle braci. Una serie di moderati ringhi e grugniti ora lasciano intendere di provenire da gole differenti. Invano scruto ancora il buio, e lo interrogo. Comprendo di trovarmi di fronte a un'intera famiglia di leoni, che con quei toni sommessi e gutturali si trasmettono, evidentemente, dei messaggi. I cuccioli frignano, ed è facile decifrarlo, mentre la nenia degli adulti, fatta di brontolii tossicchianti e quasi modulati, è sicuramente rivolta ai piccoli per incitarli a camminare. Trovo allucinante essere finito a bivaccare proprio nel bel mezzo di un branco di leoni in piena attività. Non ci fosse altro spazio attorno... Eppure, a pensarci bene, sarebbe stato facile prevedere quanto accade: in tutta la zona solo qui esiste una pozza per abbeverarsi. Quindi non poteva esserci miglior campo di caccia.
Fermo in ginocchio davanti al fuoco spento - non avevo più sopportato l'immobilità passiva - capto nel buio ogni rumore che possa rivelare quanto sta accadendo qui attorno. Percepisco prima di tutto la distanza reale che esiste fra me e i leoni passati ormai al di qua del Grumeti. Intuisco poi la direzione del loro spostamento in gruppo. Ecco, ora sono vicinissimi, a qualche decina di metri appena, e stanno dirigendosi verso la palude. Davvero dunque mi ignorano, o quanto meno mi evitano? Cala però un altro silenzio innaturale, rotto di lì a poco dallo schianto di grossi rami spezzati cui fa seguito uno scalpitio pesante. È certamente la fuga di un giovane bufalo, o qualcosa del genere. Nuovo assoluto silenzio, e nuova fuga precipitosa di più animali assieme. Stavolta mi sfiora un'ombra impazzita e fulminea: un'antilope. Segue l'ansimare profondo e cavernoso del leone, che deve aver mancato la preda. L'idea di avere un leone qui di fronte, ma senza poterlo vedere, mentre i suoi occhi gialli stanno forse osservandomi come alla luce del giorno, ebbene mi dà le vertigini. L'incubo si attenua soltanto quando riprende il brontolio di prima che si allontana verso la pozza di acqua putrida.
E finalmente si sciolgono le tenebre di quella pazza, snervante notte. Ritorna la luce. Adesso i miei occhi valgono quelli del leone e della iena.
Sono le 6.20 quando mi infilo gli stivali, non prima di averli rovesciati e scossi accuratamente per liberarli da eventuali scorpioni o altri insetti velenosi di vario genere che nella notte potrebbero esservi entrati per rimanere al caldo. Rinuncio a bollire altro liquido, anche perché la pozza che lo fornisce è ormai presidiata dai leoni, e riparto soltanto con quella mezza borraccia di «acqua» risparmiata nella notte. Una iena incrocia il mio cammino serrando tra i denti un grande osso sanguinolento. La seconda giornata di marcia è appena cominciata.
Mi ero allontanato molto dal riarso Grumeti con l'intento di aggirare le alte colline Ngoheo, verso nord; ma ora dovevo assolutamente riavvicinarle perché è solamente là che prima o poi riuscirò a imbattermi in una pozza d'acqua. I letti di questi fiumi diventano infatti via via più impermeabili verso valle, dove aumenta quindi la probabilità che sotto il fondo sabbioso dreni un filo d'acqua.
Sono ancora digiuno, perciò dopo la prima ora di marcia mi concedo una scatoletta di latte condensato. Meglio direi che me la impongo, anche se non ho fame. Così il mio prezioso mezzo litro di acqua subisce di colpo un grande calo.
Qui il paesaggio è sconfinato e di una violenta bellezza. Le fitte boscaglie si succedono ai gialli mari d'erba, e a questi subentrano le steppe ondulate e riarse da cui sale un amaro sapore alcalino. Azzurre montagne lontanissime chiudono l'orizzonte, prima del quale la luce del sole ristagna crudele come sostanza fusa e tremolante.
Avanzo in quel torrido paradiso, riposando di quando in quando all'ombra di acacie spinose, dalla chioma a ombrello e dal tronco maculato. Tutt'intorno si muovono migliaia di animali delle varie specie; ma chi più di tutti si fa udire è una torma di cavallette, che frinisce e mi saltella fra le gambe. L'aria è piena di suoni, strilla una moltitudine di uccelli, tubano i colombi e latrano lontani gli insolenti babbuini. Però, a sconcertare fra tutti sono i folli gnu che galoppano avanti e indietro senza meta apparente. Incolonnati a centinaia, migliaia a volte, si spostano attraverso la savana come un torrente palpitante. A guidarli verso nuovi pascoli è una infallibile bussola biologica. Il breve verso sommesso e gutturale che esce dalle loro gole fa pensare a un coro di monaci tibetani. I predatori invece non si vedono, ma se ne intuisce la presenza in qualche angolo ombroso, ben mimetizzata fra i cespugli. Soltanto qualche iena e sparuti sciacalli, inseparabili briganti, fanno ogni tanto una fuggevole e losca comparsa. Ovunque sul terreno affiorano impronte di ogni tipo e resti di animali, come mute di serpentelli e bianche evacuazioni di ossa digerite; ma vi sono anche scheletri ben ripuliti dalle formiche e ancora altre carcasse: macabri simboli della legge spietata che regola questo angolo di mondo.

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